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    Mondiale senza diritti. Cucchi: 'Spero che i calciatori rompano l'omertà che la Fifa vuole imporre a favore del Qatar'

    Mondiale senza diritti. Cucchi: 'Spero che i calciatori rompano l'omertà che la Fifa vuole imporre a favore del Qatar'

    • Riccardo Cucchi
    Riccardo Cucchi è entrato in Rai nel 1979, rigorosamente per concorso.
    Ha raccontato alla radio 7 Mondiali di calcio e 8 Olimpiadi.
    È uno dei giornalisti italiani più amati e stimati.
    Alla vigilia di Qatar 2022 scrive per noi questo articolo,
    che non è un pronostico ma insieme una denuncia e un auspicio

    Il calcio da solo non sarebbe nulla. Il calcio è immerso nella vita. E’ vita. Chi pensasse di poter comprendere il gioco osservando soltanto le evoluzioni di 22 giocatori o 22 giocatrici, non riuscirebbe a comprendere perché questo sport vive da oltre un secolo e mezzo ed è diventato uno sport planetario. Dietro e dentro una partita si concentrano gioie, sofferenze, reazioni, scoramenti. Dietro a quel pallone si snodano le nostre esistenze, le nostre passioni, le nostre emozioni. E’ un autentico paradigma della vita. Ma, soprattutto, il calcio ha profonde radici popolari. Non è del popolo, come certa retorica vorrebbe far credere. Ma lo rappresenta, lo rappresenta bene.

    Stonano quelle parole rivolte dal Presidente della Fifa Infantino alle federazioni che saranno presenti in Qatar. “Parlate solo di calcio”. Questo è il monito, in estrema sintesi. Interpretando: chiudetevi nel vostro mondo e non pensate ad altro, non parlate di altro, come se i calciatori non fossero persone dotate di intelligenza e sensibilità umane. Di cosa non dovrebbero parlare? Delle migliaia di morti nei cantieri durante la costruzione di stadi ed impianti? Dei diritti umani e civili calpestati in Qatar? Del fatto che l’ambasciatore del calcio in Qatar abbia dichiarato, nei giorni scorsi, che l’omosessualità è una “malattia mentale”?

    Personalmente mi auguro, al contrario, che parlino. Perché i diritti umani e civili non sono politica: sono diritti. E perché il calcio non può essere vittima di quel processo ormai definito universalmente, con terminologia inglese, “sport washing”. Non può esserlo lo sport, non possono essere il calcio e lo sport “lavatrici” nelle quali infilare panni sporchi per ripulirli. La polvere sotto il tappeto. Perché il Qatar proverà a mostrare il suo volto più moderno, più avveniristico, più ricco proprio grazie ai Mondiali. E cercherà di nascondere, come si nasconde la polvere sotto il tappeto, le violazioni dei diritti delle quali è vittima la sua popolazione, a cominciare dalle donne per arrivare agli oppositori imprigionati.

    Il giornale inglese Guardian, nei giorni scorsi ha indicato una cifra: 6500. Una mostruosa cifra perché si riferiva alle vittime nei cantieri, operai attirati dall’Asia con l’illusione di qualche buona paga.
    Erano indiani, pachistani, filippini. Per loro non è stata usata l’accortezza che verrà applicata ai calciatori. Si giocherà a novembre e dicembre con temperature più miti. No, agli operai immigrati non è stata concessa questa gentilezza. Hanno lavorato sotto il sole a 50 gradi, senza tutela, senza protezione. Impossibile avere una conta precisa delle vittime. Amnesty International ha avviato una campagna con la quale chiede risarcimenti per le famiglie di questi moderni schiavi dei quali sarà molto difficile conoscere il numero, e persino il nome.

    In molti sapevano, molti hanno taciuto. E alcuni tacciono anche oggi.
    Personalmente mi aspetto fasce per i capitani che invochino il rispetto dei diritti; mi aspetto parole forti come quelle di Cantona; mi aspetto che naufraghi il tentativo di “usare” il calcio che il Qatar vorrebbe attuare.

    Intendiamoci: non è la prima volta che ciò succede. E’ avvenuto in occasione del Mondiale in Russia o delle Olimpiadi a Pechino. Ma qui è ancora più evidente il tentativo di sfruttare lo sport, che accetta in cambio dei soldi.

    Sono un sognatore e allora sogno. Sogno un decalogo di Fifa e Cio che in futuro stabilisca i parametri che un paese deve rispettare per poter organizzare un evento internazionale.  Al primo posto il rispetto dei diritti umani.
    Il calcio deve essere esportatore di valori. Quelli sui quali si fonda lo sport e senza i quali lo sport sarebbe solo spettacolo, non “anche” spettacolo.
    Sono un sognatore e mi auguro che in Qatar tanti si proclamino a favore del rispetto dei diritti civili ed umani. E che non rimangano in silenzio.
    @CucchiRiccardo
     

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