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    Milan, ipotesi riciclaggio per Yonghong Li. Fininvest, documento in Procura in cui si dichiara parte lesa. E Mr Bee...

    Milan, ipotesi riciclaggio per Yonghong Li. Fininvest, documento in Procura in cui si dichiara parte lesa. E Mr Bee...

    Una sceneggiatura perfetta: intrighi, tradimenti, soldi (molti soldi), personaggi famosi e poteri forti. Al centro di tutto un oggetto del desiderio, culto e fede per milioni di persone: il Milan. La cessione del club di Silvio Berlusconi è stata la più lunga telenovela in onda sugli schermi della vita reale. Ma adesso le puntate più controverse, quelle che hanno visto come protagonista Li Yonghong diventato il patron più o meno un anno fa al posto di Berlusconi, potrebbero essere riviste da un occhio molto più attento, quello del sostituto procuratore di Milano Fabio De Pasquale.


    IL MEMORIALE DEPOSITATO IN PROCURA - C’è un particolare non secondario in una vicenda destinata ad occupare nei prossimi mesi spazi e attenzione dei media (e dei tifosi): negli stessi giorni in cui Berlusconi era impegnato a fare i conti con i risultati delle politiche e il sorpasso interno alla coalizione di centrodestra operato da Matteo Salvini, il suo avvocato di fiducia Niccolò Ghedini era alle prese con un lavoro altrettanto delicato: visionare la relazione super dettagliata redatta dall’ufficio legale di Fininvest che spiegava punto dopo punto la trattativa che aveva visto uno sconosciuto cinese fare shopping in Italia, portandosi a casa una delle società più famose al mondo e garantendo alle casse di Fininvest la cifra monstre di 740 milioni di euro. Un documento non fine a se stesso, ma depositato nei giorni scorsi alla Procura di Milano e preso in consegna proprio da De Pasquale (a capo del dipartimento Affari internazionali-Reati economici transnazionali). Se il magistrato cercava un bel romanzo da leggere, ora ha in mano la sceneggiatura perfetta. Ma quelle pagine potrebbero dare (o forse hanno già dato) spunti interessanti per il fascicolo appena aperto sulla cessione del Milan, un modello 45 senza ipotesi di reato e senza indagati che sembra il giusto incipit per qualcosa di più investigativo. Anche perché l’ipotesi di riciclaggio è già contenuta nel documento inviato in Procura a fine dicembre dalla Finanza che aveva a sua volta ricevuto tre segnalazioni di «operazioni sospette» da parte dell’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia.

    L’INCHIESTA SUL GRANDE AZZARDO DI MR LI - Ma perché dalle parti del Biscione si è sentita la necessità di fare questo passo? Non erano sufficienti le continue visite fatte nell’ultimo anno da Ghedini nell’ufficio di Francesco Greco, procuratore capo di Milano? Evidentemente no. E il motivo sta proprio nella possibile piega che potrebbe prendere l’inchiesta sulla cessione del Milan. Fininvest ha già fatto sapere di considerarsi parte lesa nel caso si scoprisse che i soldi fatti arrivare da Li siano fonte di guai giudiziari. Un timore in rialzo anche perché i continui scossoni dati alla proprietà cinese sembrano portare verso un cambio di proprietà: a fine ottobre (se non prima) Elliott dovrebbe diventare padrone del Milan. Nel frattempo forse solo un’inchiesta della magistratura potrebbe spiegare quello che agli occhi di tutti appare un grande azzardo da parte di un broker cinese capace di sbaragliare la concorrenza, scalando le posizioni interne alla cordata d’investitori interessati al club italiano e facendo fuori due pesi da novanta come gli advisor Salvatore Galatioto (considerato una delle 50 persone più influenti nel mondo dello sport Usa) e Nicholas Gancikoff (giovane manager di origine armene proprietario di Sports Investment Group e durante la trattativa a.d. in pectore rossonero, ruolo poi finito a Marco Fassone).

    LA DEFENESTRAZIONE DEI SOCI-ADVISOR - C’è un preciso momento che segna il punto del non ritorno. Fine luglio 2016, Galatioto e Gancikoff sono al tavolo con Fininvest per cercare la quadra, i continui rinvii e i nomi della cordata sempre più variabili creano nervosismo. Ma sembra arrivato il giorno buono, poi ecco una telefonata. Dall’altra parte della cornetta c’è Han Li (braccio destro di Li Yonghong e anche l’unico dei due che parli inglese): spiega che a comprare il Milan saranno loro attraverso la Sino-Europe, che lo faranno con fondi personali, senza bisogno di banche (evitando così una due diligence, il controllo accurato dei conti previsti dalle legge quando nella trattativa sono coinvolti soggetti politicamente esposti come Berlusconi) e con una doppia caparra a fondo perduto da 200 milioni di euro. Uno scacco matto nei confronti degli altri pretendenti, in primis proprio Gancikoff che fa un tentativo di contro-sorpasso appoggiandosi a Sonny Wu, patron del fondo privato GSR Capital, e Steven Zheng, uomo d’affare nel settore energia solare, i due uomini di riferimento della cordata. Fininvest fa la sua scelta, firma il preliminare di vendita e comunica in diretta a Galatioto e Gancikoff l’avvenuto capolinea. Da quel momento Ghedini intensifica le visite in Procura, chiedendo quasi l’autorizzazione a incassare i soldi della cessione.

    LE DUE CAPARRE SOSPETTE E IL PRESTITO DI ELLIOTT - I mesi successivi sono frenetici: potrebbero essere ripassati al setaccio da De Pasquale. Soprattutto per dare una tracciabilità ai soldi entrati in Italia. I primi 100 milioni di euro arrivano da Li attraverso Credit Suisse, banca tirata in ballo nello scandalo sui Panama Papers e più volte accusata di aiutare l’evasione fiscale dei suoi clienti. La seconda tranche (altri 100 milioni, dicembre 2016) fa il giro del mondo: passa dalle Isole Vergini Britanniche – paradiso fiscale molto noto anche in Italia – per arrivare a Hong Kong e da qui a Milano. Un modo per rendere complicata qualunque tracciabilità, alzando un muro su eventuali indagini. Fininvest incassa e forse spera finisca lì, con le caparre a fondo perduto diventate «regalo» per il Natale 2016 a causa del mancato closing. E invece Li, dopo aver ottenuto alcuni rinvii versando a fine marzo 2017 un’altra tranche da 50 milioni, riesce ad aprile dello scorso anno a portare in porto l’acquisizione grazie al prestito (a interessi altissimi) di 303 milioni di euro ricevuto dal fondo Elliott.

    IL NEW YORK TIMES ALZA IL VELO SU MR LI - Il resto è storia recente, compresa la campagna acquisti faraonica per un Milan da portare in Champions e le continue rassicurazione dei cinesi sulla solidità del nuovo club. Ma a inizio novembre 2017 il New York Times fa le pulci a Li, mettendone in forte dubbio il patrimonio personale da oltre 500 milioni di euro, usato come garanzia per l’acquisto dei rossoneri. Tra le righe del quotidiano aleggiano due domande fantasma: escludendo quelli di Elliott, chi ha fornito il resto dei soldi a Li e soprattutto sono di provenienza lecita? Per i bene informati a imbeccare notizie e sospetti ai giornalisti potrebbe essere stato Galatioto, forse a conoscenza di qualche segreto inconfessabile. 

    LA PROCURA DI MILANO ACCENDE I RIFLETTORI - Se fosse così non è da escludere una visita dell’italoamericano in Procura, proprio nell’ufficio di De Pasquale che nel frattempo potrebbe essere impegnato tra rogatorie ad Hong Kong e altre attività nel tentativo di ricostruire il puzzle dei soldi per un fascicolo diventato col trascorrere delle indagini un modello 44, con ipotesi di reato (riciclaggio) in evidenza. Per qualcuno questa visita potrebbe esserci già stata, ma resterebbe coperta per ovvie ragioni. Anche perché in una sceneggiatura perfetta non può mancare il colpo di scena.

    IL CONTROPIEDE DI MR BEE CHE NON VA A SEGNO - A un passo dal closing con Li, in casa Fininvest si riaffaccia dalla Thailandia Bee Taecheaubol, sparito dai radar italiani nel dicembre 2015 dopo aver trattato l’acquisto del Milan per 14 mesi. A chiamare il Biscione è una delle più importanti banche finanziarie al mondo: si fa garante della nuova cordata e spiega che dietro a Bee ci sono capitali del Qatar. Ma condizione imprescindibile all’operazione è il benservito a Li. A Milano vanno in fibrillazione perché i nuovi acquirenti risponderebbero in pieno ai desiderata di Berlusconi («lascerò il Milan in buone mani»), ma per portare a termine il lavoro occorrono mesi, forse un anno. E questo significherebbe per Fininvest bruciare cassa nel calcio per circa 100 milioni di euro. Il bilancio non lo permette. E il Milan va dritto a Li. Ma ora che la grande scommessa cinese (quotare il club alla Borsa di Hong Kong, recuperando soldi spendibili ovunque) appare persa e il futuro dei rossoneri sempre più targato Elliott, resta da scrivere il finale alla sceneggiatura. E la penna giusta potrebbe averla la Procura di Milano.

    di Francesco Ceniti per la Gazzetta dello Sport


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