Redazione Calciomercato
Milan, il 'calcio di Fonseca' e le manie di protagonismo: a Theo e Leao non resta che cambiare squadra
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Ecco. Immaginate se la situazione fosse stata “normale”. Non ci sarebbero state le reazioni social in tempo reale. Non la scusa di Theo più adolescenziale della storia (“non avevamo sete”). Non il silenzio di Leao e di Ibra, nonché della società per 48 ore abbondanti. Non i commenti indignati di tutti gli opinionisti, chi più (Di Canio) e chi meno. Non ci sarebbe stato nulla di tutto ciò. E ovviamente non il problema della zero empatia tra i due giocatori e Fonseca.
Ma sarebbe rimasto il conflitto vero: tecnico e tattico. Cioè il problema che nessuno, neanche Ibrahimovic, riesce a mettere a fuoco: se il “calcio di Fonseca” deve essere “dominante”, se il Milan deve schiacciare gli avversari nella propria metà campo e se, insomma, i rossoneri devono fare tutte quelle cose là per omologarsi ai buoni propositi della propaganda, a Theo Hernandez e Rafa Leao non resta che cambiare squadra, perché non sono adatti a questo Milan teorizzato dai Vannacci del calcio parlato. Il francese e il portoghese hanno caratteristiche che suggeriscono (impongono) la ricerca delle condizioni ideali per le ripartenza a campo aperto. Sono due atleti che corrono più a lungo e più forte di tutti. Bravissimi tecnicamente, ovvio. Comunque due velocisti da sfruttare nella corsa e non nei lenti balletti del possesso palla che si sterilizza ai limiti di ogni area avversaria.
Theo e Leao si sono comportati male. Malissimo. Pessimi con se stessi, con Fonseca e con i compagni. Per aggravare la sua posizione, Leao ci ha poi aggiunto anche il tweet contro Di Canio. E alla fine Furlani è stato bravo a ribadire fiducia in Fonseca, anche se l’espressione “pieni poteri” all’allenatore è sembrata un po’ esagerata. Comunque, il caso del cooling break è stato gestito abbastanza bene e - tutto sommato - con sufficiente tempestività. Ma se non si capisce che i due giocatori si allontanano per mancanza di empatia tecnico-tattica, anziché per ribellione giovanile, il problema resterà tale e quale. Anzi, forse diventerà perfino peggio.
Alla prossima reunion, i due ci saranno. Ma anche se per la forma saranno lì - dalle parti della panchina - nella sostanza resteranno distanti da un tipo di calcio che non possono condividere. E al di là delle etichette più modaiole, le squadre belle e vincenti sono quelle che esaltano le caratteristiche dei giocatori. Non le manie di protagonismo degli allenatori. Lo sa anche Ibrahimovic. L’ha sempre saputo da giocatore. Lo ricordi da dirigente.
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