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  • Milan e Roma, destino comune: prima dello stadio c’è da pensare al campo

    Milan e Roma, destino comune: prima dello stadio c’è da pensare al campo

    • Massimo Callegari
      Massimo Callegari
    Vogliono a tutti i costi lo stadio ma, se mai lo avranno, rischiano di trovarselo svuotato. Di pubblico e passione. Al Milan è già accaduto contro il Liverpool, che ha banchettato a San Siro di fronte ad avversari inermi e in un’atmosfera ben lontana da quella delle grandi notti europee. E potrebbe accadere presto alla Roma, perché la società sta riuscendo nell’impresa (quasi) impossibile di allontanare dall’Olimpico la tifoseria che da anni lo riempie con un’overdose di adrenalina.

    Hanno tanto in comune le implosioni di Milan e Roma. Dalla presenza-assenza delle proprietà americane all’onnipotenza di figure ibride come Ibrahimovic e Lina Souloukou: un po’ consiglieri, un po’ manager, un po’ direttori sportivi. Con l’effetto di delegittimare/annullare tutti quelli che gli stanno attorno o sotto, nelle gerarchie. E il rischio, nel caso di Ibra, di indispettire chi ha ruoli altrettanto se non più importanti del suo. Prima c’era Paolo Maldini che affilava la lingua nei momenti cult e nel tunnel del Maradona “accusava” Spalletti di guardare “troppi Rambo”. Ora ne ha uno che Rambo lo fa sui social e nelle interviste ma che, a differenza di quando giocava, non è ancora riuscito a trasferire alla squadra la sua arroganza agonistica.

    Il Milan di Fonseca passeggia con e senza palla, come ha impietosamente evidenziato il Liverpool. Prendetevi 5’ e andate a rivedervi una fase qualsiasi della prima ora della partita dell’altra sera (il dopo conta poco): non c’è movimento per dare una soluzione al compagno in possesso palla, non ci sono corse all’indietro per raddoppiare le marcature. Nessun aiuto ai terzini da Pulisic e Leao, che si è tenuto le energie per correre subito negli spogliatoi al fischio finale, allontanandosi ulteriormente dal gruppo che nel frattempo andava sotto la curva. Con loro anche il giovane esordiente Torriani, al quale compagni più carismatici di quelli attuali avrebbero risparmiato l’umiliazione.

    Fa effetto pensare ora che De Zerbi e Fonseca avrebbero potuto essere su panchine opposte: l’ex allenatore del Brighton era disponibile per dire sì al Milan; il portoghese aveva già detto sì al Marsiglia, prima del dietrofront che lasciò delusa e infastidita la dirigenza francese, capace di rimediare alla grande. Su Fonseca c’era il Milan, che lo aveva scelto anche per quella malleabilità che gli sta però costando il posto. Potrebbe non bastargli nemmeno una notte da Buster Douglas, il semisconosciuto pugile dell’Ohio che batté clamorosamente Mike Tyson: nessuna certezza che vincere il derby gli garantisca la conferma.

    Anche la programmazione che sembrava alla base del rinnovo triennale garantito a Daniele De Rossi è già saltata per aria e con essa la maniacale attenzione ai costi perseguita dall’ad della Roma, Lina Souloukou. Anche se per soli otto mesi, infatti, dovranno essere pagati stipendi a due allenatori. Da Mister Futuro al tecnico USA e getta(to) nella giungla della nuova, insidiosa Europa League e della accesissima lotta Champions. Dopo un mercato ondivago, dalla difesa a 4 a quella a 3, da Soulé a Dybala, da Abraham a Shomurodov. In pochi mesi la Roma è passata da un allenatore con status mondiale (José Mourinho) a uno con idee e ambizioni (DDR, comunque ancora molto impulsivo nei rapporti con i dirigenti, era già accaduto alla SPAL) a uno (Juric, altrettanto se non più impulsivo) senza esperienze in una big e nelle coppe europee. Eccolo, l’ultimo stadio. Il campo, come sempre, sarà il giudice supremo. Ma intanto una domanda più che legittima scuote i muri e i cancelli di Trigoria: “Ndo’ sta er progetto?!?” (semicit.).

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