Milan e Mr Bee: il calcio non c'entra
Una rivoluzione profonda ed impensabile fino ad alcuni anni fa, non legata soltanto alla figura del “Cavaliere” e alle esigenze di famiglia, ovviamente. Qui parliamo di una trasformazione generale, diremmo sociale, di più largo respiro. Nel calcio inizia ufficialmente con l’ingresso della prima cordata straniera in Serie A: aprile 2011, la Roma è americana. Da qui l’effetto domino, che probabilmente è solo agli inizi. Nel novembre 2013 è la volta dell’Inter, che passa dalle mani paterne di Massimo Moratti a quelle del magnate indonesiano Erick Thohir, che acquista il pacchetto di maggioranza nerazzurro. I colleghi lo accolgono bene: “Manda via quel filippino” consiglia Ferrero, l’affabile Presidente della Sampdoria, all’ormai depotenziato Moratti, nel dicembre 2014. Poi è la volta del Bologna, nell’ottobre 2014 l’avvocato americano Joe Tacopina e il magnate canadese Joey Saputo acquistano il club. Gli sviluppi li sappiamo: grottesco tira e molla tra i due, la spunta il tycoon di Montrèal, il Bologna è tutto suo. E Joe? Cambia aria, stavolta sbarca in Laguna e diventa Presidente del Venezia.
Paradossalmente però, il mondo del calcio in tutto questo c’entra poco. Strano a dirsi, fermandosi ad un’analisi superficiale. Certo, l’ambiente è quello dell’altissima finanza, degli intricati rapporti di potere e delle impenetrabili connessioni politico-economiche.
Tutto vero. Ma è solo la punta di un iceberg. Grande come la società moderna, figlia di una globalizzazione economica esasperata, per molti aspetti ridondante, sicuramente incontrollata. Viaggia a ritmi forsennati sulle nostre vite, incidendo pesantemente sui rapporti interpersonali e su noi stessi. Il risultato è un processo d’integrazione forzato a tutti i livelli. Nessuno escluso. Un’integrazione che sa d’imposizione, perché non condivisa e quindi, paradossalmente, non aggregante. E’ un periodo storico, come sappiamo, drammatico. Viviamo anni segnati da grandi flussi migratori, forse come mai prima d’ora, destinato a cambiare nel giro di un paio di decenni la geografia socio-culturale europea, se non mondiale. Una delle conseguenze, è il lento (ma neanche tanto) ed inesorabile logoramento delle specificità territoriali e quindi nazionali. Chiariamo: il problema non è l’integrazione in sé, che anzi rappresenterebbe una grande fonte di arricchimento umano e di crescita individuale e nazionale, e quindi culturale.
Questa “falsa” integrazione, rischia invece di abbattersi sugli usi e costumi di un popolo, annullandone le particolarità, che invece di essere condivise vengono lacerate. La condivisione è una grande conquista, se avviene in tempi e modi adeguati. Se forzata o imposta dalla “globalizzazione del business” ha effetti devastanti in ogni ambito sociale. E, come sappiamo bene, il calcio è uno dei più grandi fenomeni sociali del mondo contemporaneo.
Che siano i benvenuti, dunque, i grandi magnati stranieri alla guida dei nostri club. A patto che non ne facciano solo una questione di business forsennato. Che siano rappresentanti delle loro tifoserie, come hanno fatto, pur con mille difetti, Moratti, Sensi e Berlusconi.
La vera paura forse, è che un giorno, dentro stadi già svuotati, finiremo per non riconoscerci più.
Raniero Mercuri