Milan, 117 anni di amore e guerra!
Contraddizioni che in 117 anni di vita hanno costantemente accompagnato la sua storia, scandita da una partenza gloriosa, una lunga pausa senza vittorie, poi una rinascita italiana e un sontuoso battesimo europeo che hanno fatto della sua vita internazionale una delle più luminose del calcio mondiale. Poi di nuovo anni bui, i ’70 e gli ’80, inframmezzati da uno scudetto, una Coppa delle Coppe, 2 Coppe Italia fino all’ingloriosa doppietta in serie B che sono stati i punti più bassi di un’esistenza tumultuosa nel bene e nel male. Infine, il trentennio di Berlusconi capace di riassumere soltanto le glorie di questo club e anzi moltiplicarle, fino a renderlo il più titolato di allori sul pianeta. L’epopea sportiva del Milan non è incominciata nel 1986, ma non sarebbe obiettivo riconoscere che da quell’anno la musica è sempre stata un concerto di Capodanno fino all’inevitabile tramonto che mescola oggi timori, sospetti, inquietudini. Sul campo e fuori.
L’anagrafe non può sottrarsi dallo spaccare in due parti distinte una leggenda calcistica durata 87 anni succeduta da un’altra con un marchio di fabbrica longevo e splendente. Non dividono un’identità, ma ne raccontano differentemente il cammino. Chi avrà la fortuna di poter essere al duecentesimo compleanno del Milan, passerà sotto traccia queste ultime anonime stagioni. In fondo in un giorno di festa seppellisce i momenti bui innaffiandoli di champagne e cospargendoli di sorrisi, abbracci, baci, strette di mano. Una società, una squadra di calcio sono un’entità virtuale racchiusa in uno stemma, origine e fonte dell’amore di chi se lo è cucito sul petto nudo. Non importa chi siano i presidenti, gli allenatori, i giocatori che si susseguono nei lustri addirittura attraversando 3 secoli dal 1800 al 2000.
Il popolo milanista questo solo riconosce, lo stemma con i suoi colori, senza mai sottrarsi dall’amarlo visceralmente standogli vicino in un freddo umiliante Milan-Cavese 1-2 a San Siro o in un esodo biblico a Barcellona per un esaltante, irripetibile Milan-Steaua Bucarest 4-0. Con la stessa gioia, la stessa passione incrollabile. Per un milanista che ha vissuto ere distanti, Joe Jordan fu forte quanto Marco Van Basten, Stefano Chiodi quanto Pippo Inzaghi, forse perché ci ricordano piccole effimere gioie giovanili che sono sempre più intense, perché inedite, rispetto a quelle di adulti. Soltanto Gianni Rivera appartiene a un’alea magica, elevata, superiore avendo accompagnato le mirabilie in campo a battaglie esterne meno riuscite, ma condite dall’amore. Il milanista è capace di scorticare senza pietà i suoi idoli nel chiuso della propria cerchia, ma guai se un tifoso di qualsiasi altra squadra si permette di sminuirlo.
E’ la fede granitica di chi ci ha sempre comunque creduto ed è stato infine ripagato, attraverso lunghe rovinose attese un po’ come quella che stiamo vivendo in questi ultimi anni. Mai prima la tifoseria rossonera fu più spaccata tra i riconoscenti integralisti e i non-evoluti esasperati così come lo è oggi. Mai prima è stata combattuta tra il riconoscere che il re brianzolo è nudo o accogliere il nuovo misterioso padrone straniero. Eppure bastano un assennato Montella, un volenteroso Lapadula, un ispirato Suso, un promettente Locatelli e – soprattutto – un inatteso decoroso campionato, a riportare la folla a San Siro e riaccendere slanci sopiti. Questo è il Milan, questi sono i milanisti. Auguri, per il passato e per una pronta rinascita di cui, piaccia o no, hanno bisogno il nostro calcio e quello europeo.