Meloni e Schlein sono il nuovo che avanza. Ma lo sport insiste nel parlare al maschile
Dal microcosmo della gestione famigliare alla vastità di un governo nazionale, transitando su terreni intermedi come quello sociale o religioso, i risultati prodotti dal genere femminile risultano essere perlopiù eccellenti. Da Madre Teresa alle giornaliste martiri come Politoskavia, Cutulli ed Ilaria Alpi fino ai confini della buona politica espressa, seppure in maniera antica, dalla Tatcher e dalla Merkel. Con un pensierino di rimpianto per la mancata partecipazione alla “gara” di Ilary Clinton che, forse, avrebbe evitato lo scoppio della guerra in atto tra Russia e Occidente.
Le ragioni di questo essere migliori degli uomini e probabilmente anche più credibili non sono geneticamente verificabili e forse è vero che il segreto si trova il quel “terzo occhio” di cui le donne sono provviste. Resta il fatto che in quanto a sensibilità, intuito e vocazione al pragmatismo tra maschi e femmine proprio non esiste partita.
Nel nostro piccolo nazionale la validità e la potenza di questo teorema in rosa sta trovando una verifica quotidiana dacchè sulla poltrona del premier è andata a sedersi Giorgia Meloni ovvero una giovane signora la quale, per avventura e malgrado le sue radici popolari, ha scelto di schierarsi in un campo politico e partitico che storicamente non ha mai previsto programmi a favore degli ultimi, dei diseredati o anche soltanto degli sfruttati. Eppure, malgrado ciò, il comportamento esecutivo di Giorgia pare diretto proprio alla difesa o perlomeno alla salvaguardia di quella parte di comunità storicamente schierata a sinistra. Esattamente come è possibile ritagliare la figura di Elly Schlein, nuovo segretario del Partito Democratico, e collocala nell’album delle donne provviste di attributi.
Sia la prima, Giorgia, che la seconda, Elly stanno provando a cambiarci la vita attraverso la rivisitazione di regole e di schemi ormai frusti ed obsoleti per un Paese moderno e proiettato verso un futuro certamente complicato. Sparigliando il gioco le due “sufragette” post moderne danno un senso di nuovo realismo e di concretezza a quella politica nella quale la gente comune credeva sempre meno arrivando al punto di boicottare le urne.
Un segnale che potrebbe e dovrebbe suggerire anche al mondo dello sport di dare una belle sterzata al timone per dirigersi verso acque non più limacciose e puzzolenti. Da quella del calcio, nazionale e non, al Coni e fino a ciascuna Federazione (tranne transitorie eccezioni) dove mai nessuna donna è stata nominata per tentare di rimettere in riga i partecipanti al gioco. Visto ciò che di positivo sta accadendo al vertice del Paese non sarebbe male giocare questa carta rivoluzionaria, perlomeno tentare. Anche rispetto ad un mondo, quello dello sport, che soltanto ora riesce timidamente ad ammettere l’esistenza nel suo orticello di anima gay.