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Lupoli a CM: "Io, Henry e l'Arsenal a 17 anni, ero sicuro di fare una carriera diversa"
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Dal Parma al Parma, vent'anni dopo: a 16 anni sei entrato nel settore giovanile, a 36 sei diventato allenatore dell'Under 18.
"E' stato come la chiusura di un cerchio. Quando sono andato via ci sono stati fattori esterni che mi hanno spinto ad allontanarmi: era un momento complicato per la società, un anno dopo sarebbe fallita. E' stato bello tornare per dare qualcosa indietro a quel club che mi ha cresciuto e mi ha fatto diventare calciatore".
Hai rivisto qualcuno delle persone che c'erano vent'anni fa?
"Qualche scout e qualche accompagnatore dirigente sono ancora lì".
A 17 hai fatto il salto dagli Allievi del Parma all'Arsenal: rifaresti la scelta di andare in Inghilterra?
"Assolutamente sì, sono stati più i pro che i contro. In quel momento era una delle squadre migliori al mondo, era l' 'Arsenal degli Invincibili'. Ho giocato 9 partite in prima squadra, ma quell'esperienza mi ha permesso di confrontarmi con dei campioni e imparare tante cose".
Ti aveva cercato qualcuno dall'Italia?
"C'era stato qualche sondaggio, mi ricordo che si era fatto avanti il Milan. Ma il Parma aveva bisogno di incassare e per giovani come me, Rossi, Cigarini e Dessena chiedeva qualche milione di euro; costi troppo elevati per un club italiano, così andai all'Arsenal per 320mila euro perché i club esteri potevano pagare un indennizzo in base a quanti anni il giocatore aveva trascorso nel settore giovanile".
Te ai Gunners e Giuseppe Rossi al Manchester United: vi siete sentiti prima di partire per l'Inghilterra?
"Onestamente no. E' successo tutto in un paio di settimane subito dopo lo scudetto Allievi Nazionali, all'epoca non c'erano cellulari per sentirsi. Posso dirvi che entrambi da una parte eravamo molto felici di iniziare una nuova esperienza, ma dall'altra siamo andati via dispiaciuti perché eravamo molto legati a Parma".
Se dovessi scegliere un momento della tua esperienza all'Arsenal?
"Il più bello è stato la doppietta all'Everton negli ottavi di Coppa di Lega ad Highbury, partivo titolare. Con quei gol si è iniziato a parlare di me anche in Italia".
E il debutto assoluto contro il Manchester City?
"In quel momento mi sono accorto dove ero finito, ma il riscaldamento ad Highbury e quei gol sotto la curva sono momenti che ti rimangono dentro per sempre".
Come vivevi l'emozione del pre partita?
"Nel tunnel mi passavano mille cose per la testa, entrando in campo osservavo quei seggiolini che si riempivano piano piano, e mi rendevo conto anche di quanto le persone fossero vicino al campo. E' un'atmosfera inspiegabile. Quando abbiamo giocato l'ultima partita in quello stadio è stato ancora più emozionante: c'erano 38mila spettatori in lacrime contro il Wigan; Henry segnò, fece un inchino e baciò il campo".
Il 17 maggio 2006 sei anche te a Saint-Denis per la finale di Champions (persa) contro il Barcellona.
"Avevano deciso di portare tutti perché quella partita rappresentava il punto più alto dell'era Wenger: Henry, Pires, Campbell, Vieira e gli altri erano al massimo del loro livello. Far parte di quel gruppo, anche se non ero neanche in panchina, è stato pazzesco; si respirava la voglia di scrivere la storia del calcio, e fino a gran parte del secondo tempo c'era questa sensazione. Poi andò male...".
Cosa vuol dire per un ragazzino di 17 anni ritrovarsi nello spogliatoio con Titì Henry? "Fu uno dei primi ad avvicinarsi il primo giorno insieme a Fabregas e Reyes. Ritrovandomi di fronte alla storia del calcio, ho pensato che dovevo prendere esempio da lui qualsiasi cosa facesse. Conoscendolo ho scoperto una persona umile che mi ha dedicato molto tempo per darmi dei consigli. E' uno dei compagni del quale ho il ricordo migliore".
Ci racconti un aneddoto con lui?
"L'anno dopo il Mondiale 2006 che abbiamo vinto in finale contro la Francia mi presento in ritiro con l'Arsenal, incontro Henry che mi viene incontro e mi dice: 'Io con te non ci parlo più'. Chiaramente stava scherzando, poi si è messo a ridere".
Ti ha raccontato qualcosa di quella finale?
"Mi raccontò che l'espulsione di Zidane aveva demoralizzato tutta la squadra. Si ricordò però che in un momento-chiave della partita c'era un giocatore, mi pare fosse Wiltord o Trezeguet, che avrebbe potuto dargli il pallone perché era da solo davanti alla porta e avrebbe sicuramente segnato, ma quel passaggio non arrivò mai".
Un altro giocatore che ti ha impressionato oltre a lui?
"In quella squadre ce n'erano davvero tanti, ma se devo fare un nome dico Josè Antonio Reyes, purtroppo scomparso qualche anno fa. Era un ragazzo straordinario anche se molto chiuso e introverso, è riuscito a tirare fuori solo in parte le sue qualità. Poi c'era Pires che ti dribblava col solo movimento del corpo, e Fabregas che a 17 anni aveva già fatto più di 30 partite da titolare".
Che allenatore è Wenger?
"Un innovativo che aveva rivoluzionato il mondo Arsenal: dal centro sportivo alla mensa, i cuochi e la palestra. Ho avuto due/tre confronti con lui, apprezzavo la sua sincerità nel dirmi che era meglio se andavo a giocare; in una squadra con tanti campioni lui ha dato giustificazioni a un ragazzo di 17 anni. Non era molto espansivo, ma era almeno dieci anni avanti agli altri: già allora, il dominio del gioco e la ripartenza da dietro per lui erano un'ossessione".
A quei tempi eri considerato uno dei migliori giovani in circolazione, in molti pensavano a un'altra carriera per te. Cosa non ha funzionato? "Anch'io ero sicuro di fare una strada diversa, ma evidentemente il mio percorso doveva essere questo; diciamo che i primi quattro/cinque per l'età che avevo ho fatto ottimi numeri. Il momento-chiave è stato quello alla Fiorentina".
Raccontaci.
"Ci tengo a ribadire che non ho mai pensato che fosse colpa della Fiorentina o che avessi sbagliato a scegliere Firenze, ma probabilmente uno step in una squadra più bassa mi avrebbe aiutato ad avere più continuità in quel momento".
Infatti in viola non hai giocato molto.
"C'erano Mutu, Osvaldo, Pazzini, Vieri.... non era facile trovare spazio e mi sono buttato giù. Poi ad Ascoli ho avuto per due volte un infortunio alla caviglia. Se non riprendi consapevolezza dei tui mezzi rischi di perderti; un giocatore con le mie caratteristiche più scende di categoria e più fatica".
E' vero che quell'anno ti aveva cercato anche il Napoli?
"C'era la possibilità di andare lì, i miei genitori sono campani e il loro sogno era vedermi con quella maglia. Ma la trattativa non andò a buon fine".
In carriera hai cambiato 19 squadre, 20 maglie con quella della Nazionale (dall'Under 16 all'Under 21).
"Ho girato troppo. Da giocatore tante cose non le vedi e non le capisci, ma hai bisogno di qualcuno che ti consigli; chi non ha familiari nel calcio come me, si affida a persone che fanno il tuo bene nell'immediato ma non sempre in prospettiva. Nella mia carriera ho sbagliato tante scelte perché non avevo la visione che ho oggi a 37 anni".
Il 31 maggio 2015 sei diventato cittadino onorario di Frosinone dopo la prima storica promozione in Serie A.
"Quest'estate a Ibiza ho incontrato un tifoso che si è ricordato di me e mi ha offerto da bere. Ricordo il delirio di quel giorno, la gente era impazzita: piangevano e ridevano allo stesso momento. E' stata una gioia inaspettata per una città intera, qualcosa di irripetibile".
Che allenatore sei?
"Ho riferimenti e spunti un po' di qua e un po' di là, ma non voglio copiare nessuno. Guardo 3/4 partite al giorno, taglio spezzoni e azioni per rivederle. Dietro al lavoro di un allenatore c'è una ricerca tecnico-tattica enorme, e quello che fa la differenza è come ci si pone nella gestione del gruppo, avere la fiducia dei ragazzi è importante perché il rapporto umano va oltre a tutto".
Quali campionati guardi?
"Tantissima Premier League, chiaramente sono ancora tifoso dell'Arsenal e quando mi capita lo guardo con un occhio diverso. L'anno scorso ho seguito molto il Bayer Leverkusen rivedendomi anche due o tre volte la stessa partita, credo sia la squadra che ho studiato di più. In Italia mi sono concentrato sull'Inter di Inzaghi e il Milan di Pioli".
Senti ancora qualche tuo ex compagno di squadra ai tempi dell'Arsenal?
"Qualcuno sì: Senderos, Clichy e soprattutto Fabregas. A marzo scorso sono andato a trovarlo a Como, mi ha fatto vedere qualche allenamenti e siamo stati più di tre ore a parlare di calcio".
Cosa vi siete detti?
"Mi ha dato dei consigli, spiegandomi che si può vincere in mille modi perché ognuno ha il suo metodo, ma con i ragazzi bisogna sempre essere positivi e cercare di tirare fuori il meglio da loro; nello spogliatoio serve chiarezza su quello che si vuole fare in campo".
@francGuerrieri
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