Lotito contro Galliani, l’ultima sfida tra amici plenipotenziari
L’ultima sfida tra plenipotenziari. L’ultima partita al fianco in tribuna. Il posto dove, uno per anni si è dimenato ad ogni gol del suo Milan immaginifico e, dove l’altro, è rimasto algido e sul ponte di comando anche nelle migliori stagioni della Lazio, quelle in cui sarebbe servita l’emozione con la maiuscola e non la freddezza del calcolo.
Questo Lazio – Milan è l’ultimo di Galliani e Lotito nemici – amici. L’ultima partita da avversari sul campo e da diplomatici fuori, nelle sedi dove il dio pallone entra di sguincio e sono gli affari e le dinamiche del mercato a farla da padrone. L’ultimo atto calcistico tra due dirigenti divisi nella bandiera e nell’esternarsi al pubblico, e uniti invece nelle visione politica del pallone, nella gestione della commercializzazione del prodotto, nell’appoggio alla presidenza federale marchiata dal timbro rivoluzionario ma a ben vedere conservativo di Tavecchio.
Si conobbero il 19 luglio 2004, il giorno in cui Claudio Lotito divenne il presidente della Lazio. Galliani in quei giorni d’estate era il presidente della Lega nazionale professioni, l’amministratore delegato del grande Milan, il vice-presidente vicario della squadra campione d’Italia in carica e il braccio operativo di un Berlusconi ancora imperatore in auge.
Sembrava impossibile che i due potessero condividere un percorso comune. Il gigante e il neofita. Il dirigente più potente e strutturato del calcio italiano e l’amministratore di conti in rosso sull’orlo del precipizio. Il diplomatico del grande Milan padrone d’Europa e d’Italia e il criptico presidente che parlava in latino suscitando negli uditori, il distacco del linguaggio forbito e la lontananza dall’emozione di padri come Lenzini e Chinaglia, presidenti emotivi.
Eppure, eppure riunione dopo riunione i due cominciarono a piacersi. A starsi simpatici. A condividere le stesse politiche. Controverse e istituzionali. Barocche e pratiche. Spregiudicate e calcolatrici. Divennero e lo sono ancora alleati politici da Prima Repubblica o se volete, avversari su un fronte (quello calcistico) e amici per la pelle sull’altro, quello delle strategie istituzionali.
Nell’estate di tre anni fa, il 2014, ci fu l’apogeo di dieci anni di relazioni diplomatiche e di decisionismo nel calcio italiano. L’elezione di Tavecchio alla Presidenza della FIGC fu il capolavoro di Lotito (soprattutto) e di Galliani. La continuità di un conservatorismo politico, che già era presente ma che Uruguay e Costa Rica avevano provveduto a spazzare via costringendo Abete a dimettersi, venne ribadita in una campagna elettorale che millantava il nuovo propagando però il vecchio, il già conosciuto.
Un atto di sintesi pieno e centrale che testimoniò l’alleanza totale su tutto il fronte tra quello che era da anni, il Richelieu del calcio italiano (con Moggi per anni Talleyrand) e il presidente neofita che dieci anni dopo era divenuto Pizarro, signore incontrastato di Cuzco.
Da qui in poi un rapporto intenso su tutti i temi in campo: la FIGC, la televisione, gli affari, l’inimicizia con Agnelli incredibile esponente dell’opposizione, lui capo della squadra più grande d’Italia. E poi ancora la corte dell’uno per il gioiello dell’altro (Keita), fino ad oggi i giorni del passo d’ addio di Galliani, il grande alleato lotitiano.
L’ultima partita diplomatica fianco a fianco, questo Lazio- Milan. L’ultima sì. Arrivano i cinesi e per il grande maresciallo, il dirigente operativo del Milan più grande, il condor del mercato, non c’è più spazio. Non c’è più il tempo di un’ultima strategia. Chissà se Lotito, nel fondo del cuore soffrirà per l’uscita di scena dal teatro del campionato, del suo amico.
Forse, più che altro, si comporterà come Cliff Robertson alias Higgins, il vicedirettore della Cia che passeggiando per le strade di New York, nel mito della pellicola di Sydney Pollack, parla con il Condor spiegandogli la vera natura controversa di strategie e politiche, e ricordandogli così che l’esercizio del potere, quello vero, è più sotterraneo che propagandistico.
@MQuaglini