Lo sport sempre negli stessi circuiti? Una questione su cui riflettere
Classe 1990, figlia di una dinastia di industriali che ha un forte rapporto col mondo dello sport (il padre Antonio, presidente di Federacciai, è anche presidente è proprietario della Virtus Entella), Vittoria Gozzi ha inaugurato Wylab, una società fondata nel 2016 con sede a Chiavari che si presenta come il primo incubatore italiano di start up che operino nel segmento di Sport Tech. Una sfida ambiziosa, che fin qui ha dato risultati positivi grazie allo sviluppo di start up come Wyscout che si sono rivelate delle scommesse riuscite. Ma il buon esito di queste scommesse dipende non soltanto dalla capacità di individuare e analizzare le società sulle quali investire. Serve soprattutto generare uno scatto culturale e di mentalità in un ambiente, quello dello sport italiano, ancora piuttosto recalcitrante verso l'innovazione.
Su questo terreno la miopia dirigenziale riscontrabile nel contesto italiano è un difetto alquanto esteso. E ancor più nel mondo del calcio, fatto di strutture scarsamente professionalizzate e di personaggi che credono di possedere il sapere e il saper fare con la medesima spocchia di coloro che si vantano di avere studiato all'Università della Strada. Per questa fauna di soggetti, l'eventualità di valutare l'utilizzo dei Big Data per prevedere l'incombere di infortuni su calciatori sempre più usurati continua a essere cosa aliena. Meglio spendere in improbabili consulenti o in intermediazioni per operazioni che potrebbero tranquillamente essere svolte dai direttori sportivi. Come spiega Vittoria Gozzi, questo torpore del mondo dello sport e del calcio verso l'innovazione è espressione di un torpore più complessivo, che attanaglia il sistema economico italiano, bloccato entro i soliti circuiti. Sistema che infatti è piuttosto renitente a puntare equity capital nelle start up. I dati comparativi esposti nel corso dell'intervista fanno emergere un dislivello imbarazzante con altri paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna.
Servirebbe una forte iniezione di novità e in questo senso Vittoria Gozzi ritiene di poterla individuare nella diffusione di proprietà americane nel nostro calcio. E fra le tante cose dette durante l'intervista, questa è l'unica sulla quale dissentiamo. Con poche eccezioni, fin qui le proprietà giunte dagli Stati Uniti hanno portato pochissima innovazione e hanno preferito vivacchiare e mirare al business immobiliare. Nello sport come altrove, il capitalismo italiano deve trovare dentro sé le energie per rilanciarsi. E questa è davvero la sfida più difficile.