AFP/Getty Images
Lione, la scommessa del nuovo stadio
“Posso morire in pace”. Parole lugubri per esprimere uno stato di soddisfazione. Le ha scelte Jean-Michel Aulas, campeggiano sulla copertina dell’ultimo numero di Planète Lyon, il magazine trimestrale del club, e a loro modo celebrano un momento di rilancio. La squadra guidata da Bruno Ginesio è in corsa per l’accesso diretto alla Champions League, e questo è già un gran risultato se si pensa che ancora a inizio 2016 la classifica era deficitaria al punto da richiedere un cambio d’allenatore. Dopo l’allontanamento di Hubert Fournier, il Lione ha preso a correre e si è pure tolto lo sfizio d’infliggere al Paris Saint Germain la prima sconfitta del suo campionato. E soprattutto è arrivato il nuovo stadio, il Parc Olympique o Grand Stade. Denominazione provvisoria, dato che i naming rights sono sul mercato. Inaugurato lo scorso 9 gennaio con la gara di campionato vinta 4-1 contro il Troyes, lo stadio è stato negli ultimi anni, per il presidente dell’OL, un sogno diventato presto ossessione. Annunciato nel 2007 in occasione del collocamento in Borsa del club, se ne ipotizzava la realizzazione entro il 2009 . Previsione molto ottimistica. Dovranno passare sette anni in più per vedere giocare la prima gara nel nuovo stadio lionese, e nel frattempo sono successe diverse cose.
C’è stata innanzitutto una forte opposizione da parte della società locale di Decine-Charpieu, la cittadina della cintura metropolitana lionese in cui viene individuata l’area dello stadio. Lì sorge un agguerrito comitato che stila un rapporto sul nuovo impianto, nel quale se ne fa la controstoria mettendone in evidenza gli aspetti negativi. In generale, c’è un proliferare di atteggiamenti avversi all’impianto. Inoltre, fra gli oppositori si distingue un agricoltore, Philippe Layat, che si oppone all’esproprio del suo terreno col rischio di mandare all’aria l’intero progetto. Per appoggiare la sua resistenza viene pure lanciata una petizione via web. Sembra proprio una storia da film francese, in stile “L’albero, il sindaco e la mediateca” di Eric Rohmer, ma il finale è meno edificante rispetto a quanto accada sugli schermi cinematografici. Layat perde la sua battaglia, e inoltre lo scorso dicembre è vittima di una brutale aggressione da parte di tre energumeni rimasti ignoti.
L’altro grande cambiamento intervenuto rispetto ai giorni in cui l’edificazione del nuovo stadio veniva annunciata si celebra sui campi da gioco: il Lione ha smesso d’essere la forza dominante del calcio francese. Quando Aulas svelava il progetto del Grand Stade, il Lione s’avviava a vincere il sesto dei suoi sette campionati consecutivi. Il presidente non immaginava che il ciclo fosse vicino a concludersi, e soprattutto che all’epoca dei trionfi ne succedesse una di magra perenne. Immaginato per essere il segno più visibile di grandezza dell’OL, esso è inaugurato in una fase che vede il club aspirare a nulla più che un ritorno verso i piani alti, ma con scarsa possibilità di scalzare la nuova forza egemone: il Paris Saint Germain. E guardando alle differenze fra la vecchia dittatura sul calcio francese e la nuova, si comprende come nel frattempo siano cambiate le condizioni e perché questo nuovo squilibrio fra un club e tutti gli altri della Ligue 1 rischi d’essere più duraturo. Il Lione aveva costruito pezzo a pezzo, attraverso una scrupolosa programmazione, la squadra diventata invincibile. Ma come ogni cosa progettata, quel Lione non poteva sottrarsi a un ciclo di ascesa, splendore, e decadenza. Invece il Paris Saint Germain si è imposto grazie alla forza di una disponibilità economica esorbitante, nettamente fuori dalla portata di tutte le altre concorrenti. E a meno che gli emiri si stufino – cosa improbabile – il dislivello fra il PSG e il resto del calcio francese rischia di superare il limite di compatibilità.
In un contesto così mutato, il ragionamento sui maggiori introiti che per il Lione verranno garantiti dal nuovo stadio rischia di non trovare delle conseguenze sportive. Secondo Aulas, i ricavi annuali garantiti dal Parc Olympique si aggirerebbero sui 70 milioni annui, cifra che costituirebbe un netto miglioramento rispetto a quanto veniva realizzato nel vecchio Gerland. Che alla fine le cifre siano davvero queste, lo dirà il tempo. Di sicuro questa scala di introiti era stata concepita in un periodo che vedeva il Lione spadroneggiare sul calcio francese e consolidare la sua presenza in Europa, ma che soprattutto non aveva ancora registrato l’approdo del Qatar Sports Investments al PSG. Adesso quella stessa scala d’introiti non scalfisce la corazzata parigina. Per Aulas rimane la battaglia vinta, una soddisfazione che a lungo era stata messa a repentaglio e perciò adesso lo porta a estremizzare. Ci sono altri motivi per morire in pace, caro presidente. Ma lo stadio, che il 13 giugno ospiterà l’esordio degli azzurri agli Europei nella gara contro il Belgio, com’è? Da dentro è bellissimo, si vede calcio come si dovrebbe vedere sempre. E anche l’esterno è ben disegnato. Desta qualche perplessità, invece, il deflusso a fine gara. Lione ha un sistema di trasporti su rotaia d’altissimo livello, ma l’accesso ai binari nel dopo partita è un ingorgo che volenterosi addetti regolano con perizia ma anche con inevitabile lentezza. E se si sbaglia fila, ci si ritrova in corrispondenza di navette che vanno in altra direzione senza possibilità di saltare da una fila all’altra. E a quel punto l’alternativa è tra rifare da capo una coda estenuante o prendere la corsa che capita e poi andarsi a cercare la connessione per la destinazione prescelta. Un aspetto da correggere, e in fretta, viste le esigenze di sicurezza e la pressione di pubblico che una manifestazione come l’Europeo comporta.
(2. fine)
@pippoevai
C’è stata innanzitutto una forte opposizione da parte della società locale di Decine-Charpieu, la cittadina della cintura metropolitana lionese in cui viene individuata l’area dello stadio. Lì sorge un agguerrito comitato che stila un rapporto sul nuovo impianto, nel quale se ne fa la controstoria mettendone in evidenza gli aspetti negativi. In generale, c’è un proliferare di atteggiamenti avversi all’impianto. Inoltre, fra gli oppositori si distingue un agricoltore, Philippe Layat, che si oppone all’esproprio del suo terreno col rischio di mandare all’aria l’intero progetto. Per appoggiare la sua resistenza viene pure lanciata una petizione via web. Sembra proprio una storia da film francese, in stile “L’albero, il sindaco e la mediateca” di Eric Rohmer, ma il finale è meno edificante rispetto a quanto accada sugli schermi cinematografici. Layat perde la sua battaglia, e inoltre lo scorso dicembre è vittima di una brutale aggressione da parte di tre energumeni rimasti ignoti.
L’altro grande cambiamento intervenuto rispetto ai giorni in cui l’edificazione del nuovo stadio veniva annunciata si celebra sui campi da gioco: il Lione ha smesso d’essere la forza dominante del calcio francese. Quando Aulas svelava il progetto del Grand Stade, il Lione s’avviava a vincere il sesto dei suoi sette campionati consecutivi. Il presidente non immaginava che il ciclo fosse vicino a concludersi, e soprattutto che all’epoca dei trionfi ne succedesse una di magra perenne. Immaginato per essere il segno più visibile di grandezza dell’OL, esso è inaugurato in una fase che vede il club aspirare a nulla più che un ritorno verso i piani alti, ma con scarsa possibilità di scalzare la nuova forza egemone: il Paris Saint Germain. E guardando alle differenze fra la vecchia dittatura sul calcio francese e la nuova, si comprende come nel frattempo siano cambiate le condizioni e perché questo nuovo squilibrio fra un club e tutti gli altri della Ligue 1 rischi d’essere più duraturo. Il Lione aveva costruito pezzo a pezzo, attraverso una scrupolosa programmazione, la squadra diventata invincibile. Ma come ogni cosa progettata, quel Lione non poteva sottrarsi a un ciclo di ascesa, splendore, e decadenza. Invece il Paris Saint Germain si è imposto grazie alla forza di una disponibilità economica esorbitante, nettamente fuori dalla portata di tutte le altre concorrenti. E a meno che gli emiri si stufino – cosa improbabile – il dislivello fra il PSG e il resto del calcio francese rischia di superare il limite di compatibilità.
In un contesto così mutato, il ragionamento sui maggiori introiti che per il Lione verranno garantiti dal nuovo stadio rischia di non trovare delle conseguenze sportive. Secondo Aulas, i ricavi annuali garantiti dal Parc Olympique si aggirerebbero sui 70 milioni annui, cifra che costituirebbe un netto miglioramento rispetto a quanto veniva realizzato nel vecchio Gerland. Che alla fine le cifre siano davvero queste, lo dirà il tempo. Di sicuro questa scala di introiti era stata concepita in un periodo che vedeva il Lione spadroneggiare sul calcio francese e consolidare la sua presenza in Europa, ma che soprattutto non aveva ancora registrato l’approdo del Qatar Sports Investments al PSG. Adesso quella stessa scala d’introiti non scalfisce la corazzata parigina. Per Aulas rimane la battaglia vinta, una soddisfazione che a lungo era stata messa a repentaglio e perciò adesso lo porta a estremizzare. Ci sono altri motivi per morire in pace, caro presidente. Ma lo stadio, che il 13 giugno ospiterà l’esordio degli azzurri agli Europei nella gara contro il Belgio, com’è? Da dentro è bellissimo, si vede calcio come si dovrebbe vedere sempre. E anche l’esterno è ben disegnato. Desta qualche perplessità, invece, il deflusso a fine gara. Lione ha un sistema di trasporti su rotaia d’altissimo livello, ma l’accesso ai binari nel dopo partita è un ingorgo che volenterosi addetti regolano con perizia ma anche con inevitabile lentezza. E se si sbaglia fila, ci si ritrova in corrispondenza di navette che vanno in altra direzione senza possibilità di saltare da una fila all’altra. E a quel punto l’alternativa è tra rifare da capo una coda estenuante o prendere la corsa che capita e poi andarsi a cercare la connessione per la destinazione prescelta. Un aspetto da correggere, e in fretta, viste le esigenze di sicurezza e la pressione di pubblico che una manifestazione come l’Europeo comporta.
(2. fine)
@pippoevai