Leo Corsi: Cruijff, il profeta del gioco
Leadership è quell’attitudine ad esercitare un ruolo carismatico all’interno di un gruppo.
Il leader ha una personalità poliedrica che presenta una serie di virtù. Jorge Valdano ne individua undici: credibilità, speranza, passione, stile, parola, curiosità, umiltà, talento, fedeltà allo spogliatoio, semplicità e successo. In base alle virtù predominanti la leadership può assumere connotati differenti. Un grande allenatore è sempre un grande leader, con una visione precisa. In linea generale è possibile individuare due opposte filosofie: quella del risultato, dove il fine ultimo è vincere; quella del gioco, che mira piuttosto a convincere. La storia del calcio è divisa tra fautori ed interpreti dell’una o dell’altra teoria. Se Mourinho è l’esegeta del risultato, Crujff deve essere considerato il profeta del gioco. Nella loro smisurata personalità si racchiude un secolo di calcio, il prima e il dopo, tradizione e futuro. Per Crujff tutto deve nascere dal possesso del pallone. L’olandese mostra una certa stima per Mourinho, considerandolo un vincente, tuttavia il tecnico portoghese preferisce giocare senza palla e per Crujff “se non giochi col pallone puoi anche darti all’atletica”. Il calcio di Crujff ruota intorno a questa idea. Bisogna considerare il percorso di una persona per comprenderne le convinzioni. Joan viene dal calcio totale dell’Ajax di Rinus Michels, una squadra che ha cambiato radicalmente la concezione del gioco. Da questa esperienza ha appreso il valore della duttilità, intesa come capacità di svolgere molteplici funzioni nel corso di una partita: raddoppiare, accorciare la squadra, recuperare palla e rovesciare il fronte con accelerazioni improvvise. Occorrono preparazione accurata e grandi capacità atletiche. “Durante ogni allenamento ti senti distrutto perché devi andare oltre quello che sul momento ti sembra il tuo limite: tu cominci a correre, a scattare a calciare e dopo un po' ti sembra di aver esaurito ogni energia, mentre hai solo esaurito quello che io chiamo "primo fiato". A quel punto bisogna sforzarsi per superare la piccola crisi che sembra bloccarti, per arrivare al "secondo fiato": che ovviamente arriva solo dopo qualche minuto di sofferenza. Quando l'allenatore dà lo stop senti il cuore che batte vertiginosamente, sembra che debba scoppiarti nel petto: devi riuscire a ricondurlo al suo ritmo normale in meno di due minuti; se non ci riesci è meglio che apri una tabaccheria ”. Da queste premesse nasce il calcio totale dell’Ajax e della nazionale olandese, “l’ Arancia Meccanica” che nel ’74 emozionò il mondo intero. Quel meccanismo perfetto si è infranto contro la solidità e il cinismo della Germania di Beckenbauer e Gerd Muller. Per una volta la sconfitta niente ha tolto alla grandezza di quel gioco: poesia immortalata nel tempo. Ma il pensiero di Crujff non si esaurisce con l’esperienza olandese. Durante gli anni di Barcellona dal calcio spagnolo ha attinto ulteriori conoscenze: la cura del possesso palla, la predilezione per la tecnica. Grazie alla sua esperienza di calciatore e campione ha infine maturato una profonda conoscenza dell’animo umano. Ha imparato sulla propria pelle che istinto e inventiva non possono essere imbrigliati da eccissiva tecnica, per questo concede ampia libertà di azione. Crujff crede nell’istinto del campione, perché l’istinto più di ogni altra qualità lo ha definito come calciatore, rendendolo uno dei più grandi di sempre. Nei primi anni novanta quando si è trattato di disegnare il suo Barcellona, ha dato vita a queste idee realizzando una squadra capace di adottare una mentalità vincente e spettacolare, una mentalità di cui è intriso il club blaugrana. Ha scelto Ronald “Rambo” Koman per il suo piede potente e preciso. Sostanzialmente un centrocampista prestato alla difesa, capace di velocizzare la manovra. Quindi ha puntato su tre campioni affidando loro le chiavi dell’attacco: intelligenza, irriverenza, istinto del gol. Rispettivamente Laudrup, Stoichkov, Romario. Creatività e tecnica come denominatore comune. Passaggi veloci e rasoterra, l’erba del Camp Nou rigorosamente bagnata prima di ogni match. L’arte del calcio consiste nel rendere semplici cose apparentemente difficili e, poiché la semplicità compiace l’intelligenza, l’incarico di dirigere il gioco fu assegnato ad un certo Pep Guardiola, cervello pulsante di quella grande squadra. Quel barca ha vinto la prima Coppa dei Campioni della storia blaugrana e altri prestiosi titoli, ma ciò che ha realizzato va ben oltre i risultati ottenuti. Il vero lascito del Profeta è una “visione” di cui Guardiola è il legittimo erede: il ciclo del grande Barcellona affonda le sue radici nel calcio che Crujff seppe immaginare.
Il leader ha una personalità poliedrica che presenta una serie di virtù. Jorge Valdano ne individua undici: credibilità, speranza, passione, stile, parola, curiosità, umiltà, talento, fedeltà allo spogliatoio, semplicità e successo. In base alle virtù predominanti la leadership può assumere connotati differenti. Un grande allenatore è sempre un grande leader, con una visione precisa. In linea generale è possibile individuare due opposte filosofie: quella del risultato, dove il fine ultimo è vincere; quella del gioco, che mira piuttosto a convincere. La storia del calcio è divisa tra fautori ed interpreti dell’una o dell’altra teoria. Se Mourinho è l’esegeta del risultato, Crujff deve essere considerato il profeta del gioco. Nella loro smisurata personalità si racchiude un secolo di calcio, il prima e il dopo, tradizione e futuro. Per Crujff tutto deve nascere dal possesso del pallone. L’olandese mostra una certa stima per Mourinho, considerandolo un vincente, tuttavia il tecnico portoghese preferisce giocare senza palla e per Crujff “se non giochi col pallone puoi anche darti all’atletica”. Il calcio di Crujff ruota intorno a questa idea. Bisogna considerare il percorso di una persona per comprenderne le convinzioni. Joan viene dal calcio totale dell’Ajax di Rinus Michels, una squadra che ha cambiato radicalmente la concezione del gioco. Da questa esperienza ha appreso il valore della duttilità, intesa come capacità di svolgere molteplici funzioni nel corso di una partita: raddoppiare, accorciare la squadra, recuperare palla e rovesciare il fronte con accelerazioni improvvise. Occorrono preparazione accurata e grandi capacità atletiche. “Durante ogni allenamento ti senti distrutto perché devi andare oltre quello che sul momento ti sembra il tuo limite: tu cominci a correre, a scattare a calciare e dopo un po' ti sembra di aver esaurito ogni energia, mentre hai solo esaurito quello che io chiamo "primo fiato". A quel punto bisogna sforzarsi per superare la piccola crisi che sembra bloccarti, per arrivare al "secondo fiato": che ovviamente arriva solo dopo qualche minuto di sofferenza. Quando l'allenatore dà lo stop senti il cuore che batte vertiginosamente, sembra che debba scoppiarti nel petto: devi riuscire a ricondurlo al suo ritmo normale in meno di due minuti; se non ci riesci è meglio che apri una tabaccheria ”. Da queste premesse nasce il calcio totale dell’Ajax e della nazionale olandese, “l’ Arancia Meccanica” che nel ’74 emozionò il mondo intero. Quel meccanismo perfetto si è infranto contro la solidità e il cinismo della Germania di Beckenbauer e Gerd Muller. Per una volta la sconfitta niente ha tolto alla grandezza di quel gioco: poesia immortalata nel tempo. Ma il pensiero di Crujff non si esaurisce con l’esperienza olandese. Durante gli anni di Barcellona dal calcio spagnolo ha attinto ulteriori conoscenze: la cura del possesso palla, la predilezione per la tecnica. Grazie alla sua esperienza di calciatore e campione ha infine maturato una profonda conoscenza dell’animo umano. Ha imparato sulla propria pelle che istinto e inventiva non possono essere imbrigliati da eccissiva tecnica, per questo concede ampia libertà di azione. Crujff crede nell’istinto del campione, perché l’istinto più di ogni altra qualità lo ha definito come calciatore, rendendolo uno dei più grandi di sempre. Nei primi anni novanta quando si è trattato di disegnare il suo Barcellona, ha dato vita a queste idee realizzando una squadra capace di adottare una mentalità vincente e spettacolare, una mentalità di cui è intriso il club blaugrana. Ha scelto Ronald “Rambo” Koman per il suo piede potente e preciso. Sostanzialmente un centrocampista prestato alla difesa, capace di velocizzare la manovra. Quindi ha puntato su tre campioni affidando loro le chiavi dell’attacco: intelligenza, irriverenza, istinto del gol. Rispettivamente Laudrup, Stoichkov, Romario. Creatività e tecnica come denominatore comune. Passaggi veloci e rasoterra, l’erba del Camp Nou rigorosamente bagnata prima di ogni match. L’arte del calcio consiste nel rendere semplici cose apparentemente difficili e, poiché la semplicità compiace l’intelligenza, l’incarico di dirigere il gioco fu assegnato ad un certo Pep Guardiola, cervello pulsante di quella grande squadra. Quel barca ha vinto la prima Coppa dei Campioni della storia blaugrana e altri prestiosi titoli, ma ciò che ha realizzato va ben oltre i risultati ottenuti. Il vero lascito del Profeta è una “visione” di cui Guardiola è il legittimo erede: il ciclo del grande Barcellona affonda le sue radici nel calcio che Crujff seppe immaginare.