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    Laziomania: La fine eclatante dell'era di Igli Tare e Padre Tempo Lotito

    Laziomania: La fine eclatante dell'era di Igli Tare e Padre Tempo Lotito

    • Luca Capriotti
    C’è una frase che è un meme oramai, di Lele Adani: Padre Tempo agisce in silenzio. Perché la testa chiomata di Adani l’abbia partorita è difficile da decifrare. Di certo si riferiva ad Allegri, e alla continua querelle con lui. Di certo il senso è: alla fine sul fiume passa il tuo nemico, e non è che si senta troppo bene. Un concetto legato al karma, a tante cose, ma ok. Padre Tempo ci dirà, un giorno, cosa dobbiamo pensare veramente di Igli Tare. Ma se ci penso in maniera analitica arrivo ad una conclusione. Se ci penso in maniera emozionale, ad un’altra. 

    ANALISI SU TARE- Tare è stato alla Lazio qualcosa come 18 anni: i bimbi diventano adulti per lo stato italiano in 18 anni, la sua Lazio è cresciuta sotto la sua ala ingombrante e pesante, è diventata una squadra stabilmente in Europa prima, capace di raggiungere - sporadicamente - la Champions League. Igli Tare è una creatura totale di Claudio Lotito, e ne ha sofferto e amato debolezze e pregi: se si è costruito relazioni e competenza all’ombra del presidentissimo Senatore, dall’altra parte ne ha pagato sempre gli umori instabili. Se ha approfittato delle sue assenze per assestare il suo potere nei confronti dei vari spogliatoi e dei gruppi che li hanno abitati e degli allenatori e di tutti gli stakeholder di Formello (celebre il suo legame forte con De Martino, amore-odio come tutto quello che circonda il ds albanese), dall’altra parte è sempre stato limitato un po' dal suo status di creatura. Lotito è un creatore duro, pratico fino all’artigiano, che ha detto tanti no, ha rovinato tante trattative, ha ritardato per motivi superiori spesso chiari solo a lui o al dio Bilancio la crescita della Lazio stessa. In 18 anni, sarebbe superfluo tirare fuori le intuizioni del nostro ds: sono tantissime, forse la più eclatante per talento e invidia è Milinkovic Savic (ma potremmo citarne tanti, funzionali, bravi, talentuosi, a partire da quel Klose con cui sono volati stracci).

    Che è anche uno specchio del suo agire: sempre sotto il pelo dell’acqua, sempre nel nome di omertà e segretezza, con un concetto di lealtà elevato al clan ristretto ed elitario, da cui escludere tutto il resto del mondo, traditore e gretto e incapace di capire. Kezman è stato un suo stretto alleato, ma viene il dubbio che la loro gestione di Milinkovic, alla lunga, non abbia aiutato la Lazio a monetizzare, e forse non abbia davvero esaltato la possibile carriera del serbo. Tare, come tutta Formello per lunghi periodi, ha forse amato il clima di guerriglia intorno alla Lazio, se ne è servito, forse la guerra contro tutto e tutti è il suo status ideale, e in questo è stato fedele scherano di Lotito. A modo suo, ha amato profondamente questo club, a cui deve tutto, e il club a lui deve tantissimo. Negarlo è sciocco: per anni è stato il garante calcistico di quello che succedeva a Formello, ne è stato ispiratore e concreto esecutore. Per anni è stato la Lazio, forse anche più di Lotito, in certi frangenti. Ho in testa l'immagine di lui che scende in campo dalla tribuna per difendere i suoi, il suo, è l'immagine chiave di un ds di lotta e di governo autocratico. In Inzaghi forse ha trovato l’allenatore più fedele e amico, come si può essere amici di Tare: in un mix di soggezione, ammirazione, dedizione, do ut des, inciuci, richieste, pressioni, facilitazioni, difesa leale e graffio in privato. Clamorosa la sua gestione di Bielsa, di cui non ha saputo o voluto assecondare le richieste, così come, forse con un potere già declinante, la sua sfida a Sarri pare sia stata totale, le incomprensioni tante, ma anche in questo frangente Tare ha dimostrato quello che è, in massima coerenza assoluta. Leale fino alla follia a Lotito, di cui non ha mai parlato male, anche quando avrebbe dovuto per il suo bene e per il bene della Lazio, ma anche nemico implacabile, minatorio, duro di chi lo osteggia o non condivide. Ci sarebbe tanto da raccontare: le mura pur impenetrabili di Formello hanno spesso fatto passare spifferi inquietanti e imprese, urla folli e pugno di ferro, stima e amicizia con giocatori e difficoltà a gestire i rifiuti, intuizioni, i no, le ribellioni, se non nell’unico modo in cui lui gestisce la vita. Con inflessibile cura del dettaglio, ma anche con inflessibile rigidità. Nel suo mondo Silva è un grande giocatore ma un piccolo uomo, nel suo mondo Keita è un ragazzino viziato e Peruzzi una voce troppo autorevole da ascoltare e ha offerto 3 volte il contratto a Klose. Nel suo mondo non c’è spazio per partnership, o divisioni di potere. Nel suo mondo c’è Tare, e il suo modo di intendere il calcio, la sua indubbia competenza, i suoi legami tribali e la sua lealtà incrollabile.

    EMOZIONI SU TARE - Dopo 18 anni, se ne va uno di casa. Questo bisogna dirlo: Tare è stato la Lazio a lungo, i suoi nemici e le sue difficoltà comunicative sono state quelle della Lazio, i suoi successi spesso quelli della Lazio. D’altra parte, è stato un personaggio complicato:  si intravedeva in lui una statura morale a suo modo grandiosa, e nello stesso tempo una durezza incrollabile, assoluta. Si tratta di un uomo di altri tempi: solo con Lotito è sceso a patti. Con nessun altro. Ha usato la Lazio? Ne è stato usato? Quasi certamente sì. Ha altri affari e tanti legami con Lotito, che hanno contribuito a forgiare un legame extracalcistico profondissimo? Forse sì, non lo sapremo mai. Quello che è certo è che, ad Igli Tare, Lotito ha dato lo stesso benservito che ha sempre dato alle persone che, in breve o alla lunga, gli vengono a noia: li tratta come fa un ragno con la mosca, depotenziandoli, privandoli del potere, per poi lasciarli andare via dalla ragnatela, senza più ali e quasi senza forze.

    Un peccato che Igli Tare debba finire così, un peccato che, in fondo, abbia amato la Lazio, e di questo non dubito, in un modo così personale ed esclusivo e materno in senso stretto e tossico che nessun altro mai avrebbe potuto capirlo, capire, capirsi. Un peccato che, in tutti questi anni, le sue asperità siano emerse più delle sue lealtà, dei suoi silenzi opportuni e dei suoi gesti di amore a modo suo. Un peccato che, in tutti questi anni, alla fine non sia veramente scoccato un vero amore con questa piazza. Forse si sono tutti contesi troppo la Lazio, i tifosi e lui, le concezioni troppo diverse di amore e passione hanno creato migliaia di fratture, e Lotito ha fatto come al solito. Ha diviso, e ha comandato. Un peccato che non si sia associato a Sarri, convinto forse, per l’ennesima volta, di riuscire a convincere Lotito a scegliere lui. Peccato che non abbia capito, come certi popoli antichi, che perfino per l’era di Tare stava per arrivare la fine. Anzi l’ha capito, e l’ha trasformato nell’ennesimo gesto di lealtà incondizionata, restando in silenzio fino all'ultimo, perché prima di tutto viene il clan, la squadra, forse prima anche di Tare, e poi il resto. Un peccato che alla fine, lui che era così bravo a tessere tele di mercato segrete, fili trasparenti tra agenti, intermediari, giocatori, famiglie, sia finito nella tela di quello più bravo di tutti, e ne sia uscito depotenziato, stritolato. Questo ds è stato stronz*, folle, talentuoso, competente, difficile, amichevole con pochi e ostile con tanti, leale e innamorato a modo suo. Dalla Lazio di Lotito si esce solo così: Padre Tempo fa il suo corso, sul fiume il Senatore Claudio agisce in silenzio.

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