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Laziomania: La fine eclatante dell'era di Igli Tare e Padre Tempo Lotito
ANALISI SU TARE- Tare è stato alla Lazio qualcosa come 18 anni: i bimbi diventano adulti per lo stato italiano in 18 anni, la sua Lazio è cresciuta sotto la sua ala ingombrante e pesante, è diventata una squadra stabilmente in Europa prima, capace di raggiungere - sporadicamente - la Champions League. Igli Tare è una creatura totale di Claudio Lotito, e ne ha sofferto e amato debolezze e pregi: se si è costruito relazioni e competenza all’ombra del presidentissimo Senatore, dall’altra parte ne ha pagato sempre gli umori instabili. Se ha approfittato delle sue assenze per assestare il suo potere nei confronti dei vari spogliatoi e dei gruppi che li hanno abitati e degli allenatori e di tutti gli stakeholder di Formello (celebre il suo legame forte con De Martino, amore-odio come tutto quello che circonda il ds albanese), dall’altra parte è sempre stato limitato un po' dal suo status di creatura. Lotito è un creatore duro, pratico fino all’artigiano, che ha detto tanti no, ha rovinato tante trattative, ha ritardato per motivi superiori spesso chiari solo a lui o al dio Bilancio la crescita della Lazio stessa. In 18 anni, sarebbe superfluo tirare fuori le intuizioni del nostro ds: sono tantissime, forse la più eclatante per talento e invidia è Milinkovic Savic (ma potremmo citarne tanti, funzionali, bravi, talentuosi, a partire da quel Klose con cui sono volati stracci).
Che è anche uno specchio del suo agire: sempre sotto il pelo dell’acqua, sempre nel nome di omertà e segretezza, con un concetto di lealtà elevato al clan ristretto ed elitario, da cui escludere tutto il resto del mondo, traditore e gretto e incapace di capire. Kezman è stato un suo stretto alleato, ma viene il dubbio che la loro gestione di Milinkovic, alla lunga, non abbia aiutato la Lazio a monetizzare, e forse non abbia davvero esaltato la possibile carriera del serbo. Tare, come tutta Formello per lunghi periodi, ha forse amato il clima di guerriglia intorno alla Lazio, se ne è servito, forse la guerra contro tutto e tutti è il suo status ideale, e in questo è stato fedele scherano di Lotito. A modo suo, ha amato profondamente questo club, a cui deve tutto, e il club a lui deve tantissimo. Negarlo è sciocco: per anni è stato il garante calcistico di quello che succedeva a Formello, ne è stato ispiratore e concreto esecutore. Per anni è stato la Lazio, forse anche più di Lotito, in certi frangenti. Ho in testa l'immagine di lui che scende in campo dalla tribuna per difendere i suoi, il suo, è l'immagine chiave di un ds di lotta e di governo autocratico. In Inzaghi forse ha trovato l’allenatore più fedele e amico, come si può essere amici di Tare: in un mix di soggezione, ammirazione, dedizione, do ut des, inciuci, richieste, pressioni, facilitazioni, difesa leale e graffio in privato. Clamorosa la sua gestione di Bielsa, di cui non ha saputo o voluto assecondare le richieste, così come, forse con un potere già declinante, la sua sfida a Sarri pare sia stata totale, le incomprensioni tante, ma anche in questo frangente Tare ha dimostrato quello che è, in massima coerenza assoluta. Leale fino alla follia a Lotito, di cui non ha mai parlato male, anche quando avrebbe dovuto per il suo bene e per il bene della Lazio, ma anche nemico implacabile, minatorio, duro di chi lo osteggia o non condivide. Ci sarebbe tanto da raccontare: le mura pur impenetrabili di Formello hanno spesso fatto passare spifferi inquietanti e imprese, urla folli e pugno di ferro, stima e amicizia con giocatori e difficoltà a gestire i rifiuti, intuizioni, i no, le ribellioni, se non nell’unico modo in cui lui gestisce la vita. Con inflessibile cura del dettaglio, ma anche con inflessibile rigidità. Nel suo mondo Silva è un grande giocatore ma un piccolo uomo, nel suo mondo Keita è un ragazzino viziato e Peruzzi una voce troppo autorevole da ascoltare e ha offerto 3 volte il contratto a Klose. Nel suo mondo non c’è spazio per partnership, o divisioni di potere. Nel suo mondo c’è Tare, e il suo modo di intendere il calcio, la sua indubbia competenza, i suoi legami tribali e la sua lealtà incrollabile.
EMOZIONI SU TARE - Dopo 18 anni, se ne va uno di casa. Questo bisogna dirlo: Tare è stato la Lazio a lungo, i suoi nemici e le sue difficoltà comunicative sono state quelle della Lazio, i suoi successi spesso quelli della Lazio. D’altra parte, è stato un personaggio complicato: si intravedeva in lui una statura morale a suo modo grandiosa, e nello stesso tempo una durezza incrollabile, assoluta. Si tratta di un uomo di altri tempi: solo con Lotito è sceso a patti. Con nessun altro. Ha usato la Lazio? Ne è stato usato? Quasi certamente sì. Ha altri affari e tanti legami con Lotito, che hanno contribuito a forgiare un legame extracalcistico profondissimo? Forse sì, non lo sapremo mai. Quello che è certo è che, ad Igli Tare, Lotito ha dato lo stesso benservito che ha sempre dato alle persone che, in breve o alla lunga, gli vengono a noia: li tratta come fa un ragno con la mosca, depotenziandoli, privandoli del potere, per poi lasciarli andare via dalla ragnatela, senza più ali e quasi senza forze.
Un peccato che Igli Tare debba finire così, un peccato che, in fondo, abbia amato la Lazio, e di questo non dubito, in un modo così personale ed esclusivo e materno in senso stretto e tossico che nessun altro mai avrebbe potuto capirlo, capire, capirsi. Un peccato che, in tutti questi anni, le sue asperità siano emerse più delle sue lealtà, dei suoi silenzi opportuni e dei suoi gesti di amore a modo suo. Un peccato che, in tutti questi anni, alla fine non sia veramente scoccato un vero amore con questa piazza. Forse si sono tutti contesi troppo la Lazio, i tifosi e lui, le concezioni troppo diverse di amore e passione hanno creato migliaia di fratture, e Lotito ha fatto come al solito. Ha diviso, e ha comandato. Un peccato che non si sia associato a Sarri, convinto forse, per l’ennesima volta, di riuscire a convincere Lotito a scegliere lui. Peccato che non abbia capito, come certi popoli antichi, che perfino per l’era di Tare stava per arrivare la fine. Anzi l’ha capito, e l’ha trasformato nell’ennesimo gesto di lealtà incondizionata, restando in silenzio fino all'ultimo, perché prima di tutto viene il clan, la squadra, forse prima anche di Tare, e poi il resto. Un peccato che alla fine, lui che era così bravo a tessere tele di mercato segrete, fili trasparenti tra agenti, intermediari, giocatori, famiglie, sia finito nella tela di quello più bravo di tutti, e ne sia uscito depotenziato, stritolato. Questo ds è stato stronz*, folle, talentuoso, competente, difficile, amichevole con pochi e ostile con tanti, leale e innamorato a modo suo. Dalla Lazio di Lotito si esce solo così: Padre Tempo fa il suo corso, sul fiume il Senatore Claudio agisce in silenzio.