Lazio:| Tanta voglia di continuare a stupire
Il paragone di Petkovic con Tommaso Maestrelli eccita i nostalgici, le cifre collezionate da Marchetti e soci portano dritti dritti a Eriksson e all'ultimo scudetto. E così la Lazio diventa la squadra del giorno. Dopo un inseguimento alla gloria cominciato nei giorni in cui Claudio Lotito, il presidente che s'intende più di motti latini, scoprì che era possibile, stando a Roma, persino dilazionare un superdebito col fisco pur di evitare il fallimento del club. Adesso che di tempo ne è passato, e col tempo sono maturate le esperienze necessarie, riecco la Lazio riprendere a volare come l'aquila adottata all'Olimpico e diventata una mascotte suggestiva. La cavalcata è strepitosa, eccone le cadenze più significative: distacco dalla Juve ridotto a soli 3 punti nelle ultime sette sfide lungo le quali ha guadagnato addirittura sei lunghezze rispetto allo squadrone di Conte; difesa blindata, grazie alle perfomances di Marchetti, il portiere (visionato dall'allenatore dei portieri della Nazionale in vista di un inevitabile ritorno in azzurro dopo il Mondiale 2010), testimoniata da 2 gol appena subiti in 7 partite, le ultime; nelle prove domestiche la Lazio è diventata una schiacciasassi, 9 successi su 11 piegando la resistenza di Inter, Milan e Roma, per un fatturato di 28 punti addirittura (contro i 24 conquistati in trasferta, rendimento molto equilibrato come si capisce).
Mettiamo da parte Lotito, ed ecco i protagonisti effettivi di questo risorgimento laziale. Il tratto elegante, le dichiarazioni mai sopra le righe, di grande lealtà, di Petkovic in effetti richiamano alla memoria non solo dei nostalgici la figura molto carismatica di Tommaso Maestrelli. Certo quella Lazio anni ’70 praticava un calcio moderno e spumeggiante, aveva un portiere formidabile (Felice Pulici), un regista geniale (Frustalupi, papà del secondo di Mazzarri), quel matto scaternato di Chinaglia e un ragazzino dal talento incostante come D'Amico. Si possono sovrapporre oggi Marchetti (acquistato per 5 milioni dal Cagliari), Klose che è molto più saggio e anche più datato, Hernanes che alterna magiche imprese balistiche a inspiegabili sparizioni, Ledesma che ha un registro argentino del ruolo, senza correre rischi di confusione. Di certo risulta inspiegabile la tenuta stagna di una difesa avvitata su un giovanotto lombardo, Biava, che ne è diventato il leader in compagnia di Ciani, e sui lati un'ala arretrata, Konko, e Radu unico specialista del ruolo.
Ecco, forse bisognerebbe chiedere ad Allegri come mai la Lazio, senza grandi nomi, può esibire questa super difesa. Forse il merito è di Petkovic e del suo assistente Manicone, un vecchio allievo di Zeman, ma di sicuro di una organizzazione di gioco che non esalta il gioco offensivo. Appena 30 i gol fatti, il numerino più piccolo tra tutta la compagnia dell'alta classifica. Eppure tra la Lazio di Reja e questa, la differenza è sotto gli occhi di tutti: minima nella rosa, vistosa nella mentalità. L'unica partita giocata solo in difesa a Torino contro la Juve! Altra chiave del successo: il lavoro, silenzioso, ma efficace di Igli Tare, il suggeritore di tutti gli acquisti e dello stesso arrivo di Petkovic a Formello. Nessuno se la fila, la Lazio, bisogna riconoscerlo. E forse c'è anche questa componente da valutare: la voglia di stupire.
(Il Giornale)