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    Lazio, Patric: 'All'inizio ero immaturo. Meritavo le critiche e sono orgoglioso di averle trasformate in applausi'

    Lazio, Patric: 'All'inizio ero immaturo. Meritavo le critiche e sono orgoglioso di averle trasformate in applausi'

    Lunga intervista di Patricio Gil Gabarron, in arte Patric, ai microfoni di Lazio Style Channel. Il difensore spagnolo ha ripercorso tutta la sua storia e la sua carriera. Veste la maglia della Lazio dal 2015 e negli anni è riuscito a trasformare le critiche in applausi diventando uno dei calciatori più amati dalla tifoseria, dentro ma soprattutto fuori dal campo. Lui ha raccontato così il suo percorso:

    LAVORARE - “Io credo di essere una persona molto forte nelle difficoltà. Quello che mi è successo in negativo (nel 2018, per esempio, era addirittura finito fuori dalla lista UEFA, ndr) in questi anni è stato tutto giusto così. Non ero pronto quando arrivai alla Lazio. Ero poco maturo. I giocatori sono prima di tutto persone anche se siamo abituati a pensare solo a quello che fanno in campo. A volte la personalità può favorirti o meno per stare in campo in un modo o in un altro. Il calcio professionistico è qualcosa di grande ma ci sono tanti aspetti che devono essere considerati. Io agli inizi del mio percorso qui alla Lazio non ero pronto. Quello che però non mi ha mai fatto sentire escluso è stato il lavoro e l’impegno che ci ho sempre messo per imparare dagli altri. Sapevo di avere delle qualità. Ci ho creduto, ma sapevo che dovevo maturare in tanti aspetti e oggi sono qui anche per questo”.

    CHAMPIONS SPECIALE - “Delle 200 e più partite che ho fatto con la Lazio non ce ne è una che ricordo d più per qualche motivo. Io sono una persona che vive le emozioni sempre al massimo, per me ogni singolo momento è stato importante. Certo che aver giocato in Champions e aver potuto vivere una notte come quella della vittoria contro il Bayer ti lascia qualcosa di speciale. Ma in casa sinceramente tutte le partite davanti al nostro pubblico per me sono emozionanti”.

    DIFFERENZA TRA ITALIA E SPAGNA - “Conoscevo la Lazio già da prima che arrivassi nel 2015, perché è una squadra storica del campionato italiano. E a me il calcio italiano è sempre piaciuto tanto. Pensavo che venendo a giocare qui in Italia sarei potuto migliorare, ma mai avrei pensato di restare così tanti anni. È vero pure però che se fossi rimasto in Spagna non credo che la mia carriera sarebbe stata così buona. Penso mi abbia fatto bene scontrarmi subito con la mentalità italiana che non è affatto morbida con i giovani nel calcio. In Spagna a volte con i giocatori più giovani si tende a essere meno duri, invece qui mi sono reso conto subito di che cosa dovessi fare per diventare un calciatore di livello. Per me è stato importante e sono contento di restarci ancora”.

    NOME E NUMERO - “Mi chiamo Patricio perché era il nome di mio nonno, ma mi sembrava un nome troppo da adulto da mettere dietro la maglia. A scuola per tutti ero Patric e così mi è rimasto questo nomignolo abbreviato. Il numero 4 invece è solo perché mi è sempre piaciuto. In Spagna ce l’hanno avuto grandi giocatori come Dani Alves e Sergio Ramos”.

    SFIDA CONTINUA - “Mi piace mettermi alla prova contro giocatori più forti per provare anche a superare me stesso. Mi dà una motivazione extra e penso che sia questo il bello del calcio: la voglia di affrontare avversari forti e fare meglio di loro, per dimostrare a te stesso che puoi farcela. Non nasco come difensore centrale, ma ho altre caratteristiche che cerco di sfruttare al meglio. Io dico sempre che le cose succedono per un motivo. Non ci si può lamentare sempre per quello che è accaduto prima. Se la mia carriera è stata così è perché doveva esserlo. Poteva andare meglio, ma anche peggio. Sono orgoglioso del mio percorso. Pensandoci a freddo forse se avessi fatto il centrale da subito avrei potuto fare ancora meglio, ma aver fatto anche il terzino mi ha consentito comunque di mettermi in mostra al Barcellona, perché altrimenti avrei avuto troppa concorrenza in mezzo. Poi qui alla Lazio il passaggio alla difesa a 5 mi ha penalizzato all’inizio e ci ho messo un anno e mezzo per trovare una nuova posizione e adattarmi a cosa chiedeva il mister”.

    AVVERSARI PERICOLOSI - “Non saprei quale sia stato l’attaccante più difficile da marcare. A volte quando giochi contro squadre che hanno esterni veloci, come Koman o Sané diventa più pericoloso marcare loro che l’attaccante centrale. Contro gente come Neymar e Mbappe non ci ho mai giocato, è vero, ma per me è più difficile marcare un attaccante veloce che un centravanti fisico”.

    ESEMPIO -Dei grandi giocatori del passato della Lazio mi piace molto Simeone. Mi piaceva il modo in cui viveva le partite e mi piace come lo fa oggi in panchina. Sono giocatori e allenatori che ti trasmettono molto. Mi sarebbe piaciuto lavorare con uno come lui. Nei miei primi anni qui, anche se giocavo poco, sono riuscito subito a entrare nella mentalità del tifoso della Lazio, nella sua passionalità. Anche quando sono stato criticato in passato, io capivo la situazione e mi dispiaceva perché la Lazio è così: ti entra dentro e finisce che ti emozioni da solo in certi momenti. Penso che questa cosa me la porterò con me per sempre. Questa squadra è speciale, lo dicono tutti quelli che passano da qui e che rimangono per un po’ di tempo. Come i tifosi amano la maglia e sostengono la squadra sono valori che rimangono. Io dico sempre che la cosa più bella della vita è essere d’esempio per qualcun altro. Per me sarebbe bellissimo se diventassi un esempio per chi verrà alla Lazio dopo di me, per qualche bambino o per chi vorrà raccontare la mia storia. Le situazioni di difficoltà ti rendono più forte. Se te la prendi con gli altri non c’è niente da fare, è solo un cercare scuse. Nella tua anima senti questo, devi far vedere chi sei. La gioia più grande è dimostrare a te stesso il fatto che puoi cambiare la situazione. È bello che la gente se ne renda conto e che ti dica che è fiera di te e della tua storia. Questo mi rende orgoglioso. Sono stato criticato, ma non sono mai sceso in campo con paura. Prendiamo tanti soldi, è giusto che veniamo giudicati dai tifosi. A volte passi momenti negativi, tutti i giocatori lo hanno fatto. La differenza tra un giocatore forte e uno meno sta nella volontà di affrontare queste difficoltà”.

    POTENZIALE INESPRESSO - “Come Ravel Morrison non ho mai visto nessun altro. Il problema, come ho detto, è che il calcio non è solo talento. A volte non è neanche colpa solo del calciatore, ma dell’ambiente che hai intorno. Al campo vieni un’ora e mezza, le altre 22 ore e mezza le passi con la famiglia e chi ti sta intorno. Per lui era questo il problema, ma in allenamento aveva una qualità superiore. Per me era ai livelli di Luis Alberto se non addirittura superiore".

    IL COMPAGNO PIU’ FORTE - "Milinkovic. Quando è arrivato i primi mesi si vedeva una superiorità fisica e tecnica. Era difficile vedere un giocatore così alto che esprimesse questa qualità palla al piede. Se metti le due cose insieme sapevo che era un giocatore speciale per la Lazio. Si vedeva da lontano”.

    RIMPIANTO COVID - “Non so se avremmo vinto lo scudetto nel 2020, ma di sicuro avremmo potuto lottare fino all’ultimo. Le sensazioni che avevo dopo l’ultima in casa con il Bologna con 70 mila persone allo stadio era incredibili. Vincevamo le partite dopo 20 minuti. L’energia che avevo in quel periodo non l’ho mai avuta in tutta la carriera. Mi stavo giocando tutto, per la prima volta mi sentivo un pezzo importante. Ritrovarsi chiuso dentro casa poco dopo all’improvviso è stato difficile. Mi ripetevo di tenere botta e mi ammazzavo di allenamenti a casa. Ma non vedevo l’uscita e non ho saputo gestire questa situazione, era la prima volta che mi succedeva. Senza tutto quello che è successo quattro anni fa lo scudetto ce lo saremmo giocato fino alla fine, sono sicuro”.

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