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Superchampions, la morte dello sport
TOGLIERE AI POVERI PER DARE AI RICCHI - Per l’ennesima volta l’Uefa dimostra di essere un Robin Hood al rovescio: agisce nel senso di rinforzare le federazioni più ricche e i loro club più potenti, a danno delle federazioni minori. Messo via all’inizio degli anni Novanta il principio organizzativo della vecchia Coppa dei Campioni, secondo il quale accedevano alle competizioni le squadre vincitrici dei campionati nazionali (con la sola eccezione della vincitrice uscente della coppa, qualora non si fosse laureata campione nazionale nella stagione precedente), la confederazione europea ha proceduto per tappe successive alla costruzione di un sistema sportivo che ha come pilastro la disuguaglianza. Il salto definitivo si ha con l’edizione 1999-2000, quando viene sancito che i paesi più in alto nel ranking (che poi sono anche quelli più ricchi) possano portare fino a quattro squadre nella fase a gironi della Champions. Ancora una volta, ciò avviene a scapito dei paesi meno potenti e consente ai grandi club europei di avere la presenza quasi assicurata. Ma è proprio quel “quasi” a essere di troppo, dal punto di vista di chi non tollera che il rischio sportivo (ovvero, perdere sul campo) si trasformi in rischio d’impresa. E in più ci si mette un timido tentativo di riequilibrio da parte di Michel Platini, che ritocca appena la formula dei preliminari per dare qualche chance in più alle federazioni di medio valore. Una mossa vissuta dalle big del calcio europeo come un affronto, intanto che la formula avviata nel 1999-2000 mostrava due crepe mai eliminate. La prima: nella fase a gironi si assiste a troppe partite prive di significato, non nobilitate nemmeno dalla possibilità di ripescaggio in Europa League. La seconda: nonostante ogni sforzo, niente può garantire che i club di maggior seguito delle federazioni più ricche accedano alla Champions. Il fattore campo e il principio del merito sportivo continuano a esercitare un peso importante. Insopportabile, per chi vuole la Champions come un surrogato della Superlega Europea, cioè una lega chiusa d’ispirazione nordamericana in cui il business e lo spettacolo sono princìpi regolatori che vengono prima dello sport. E dunque, ecco che puntuale si ripresenta il meccanismo: viene fatta correre voce di un progetto di Superlega calcistica europea, e subito l’Uefa corre ai ripari facendo ulteriori concessioni. Era successo a fine anni Novanta, e subito dopo è arrivata la riforma della Champions. Stavolta l’innovazione consiste in una sorta di wild card concessa ai club portatori di “meriti storici”, ma rimasti fuori dalla qualificazione causa demeriti sportivi. Per intenderci, il Manchester United che nella stagione 2013-14 concluse la Premier al settimo posto, e dunque non guadagnò nemmeno l’accesso all’Europa League, con la formula della Superchampions si vedrebbe garantita la partecipazione al torneo. Il tutto sulla base dei “meriti storici”. Un elemento che merita qualche riflessione.
SE QUESTO E' MERITO - In realtà si tratta di una definizione data dal giornalista della Gazzetta, che mette il termine “storici” fra virgolette accanto a “meriti”. Ma il senso è esattamente quello, e non ci sarebbe da stupirsi se alla fine la formula scelta dall’Uefa replicasse quella di Licari. E però qui sta il punto: che diamine vuol dire “merito storico”? Sta a significare che quanto è stato fatto nel passato vale come privilegio per il presente, indipendentemente da quello che è il risultato del campo. Il che, in termini concettuali, è l’esatto contrario del merito e della meritocrazia. Specie nello sport, il campo dove più che altrove vale il principio dell’achievement. E' questo un termine inglese che in italiano traduciamo male, non riuscendo a trasmetterne per intero il significato. Sta per “successo, conquista”, e porta con sé l’idea che qualsiasi premio vada guadagnato attraverso la dura prova del campo. E specie nello sport il campo ti premia una o più volte, ma poi alla volta successiva devi dimostrarti di nuovo all’altezza ripartendo da zero. Ciò che hai conquistato in un momento precedente può valere per la gloria personale e per la storia, ma non certo essere un surrogato dei successivi demeriti. E dunque, il concetto di “merito storico” è un totale nonsenso. Soprattutto nello sport, di cui il “merito storico” è la negazione. Ma all’Uefa sono disposti a tutto pur di non veder fare la secessione ai ricchi. Pure a sacrificare lo sport.
@pippoevai