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La storia di Olaoye, il primo inglese in Argentina 35 anni dopo le Falkland
Benché uno scozzese, sir Alexander Watson Hutton, avesse fondato a fine Ottocento la federazione calcistica argentina, nessun britannico aveva mai corso il rischio di andare a predicare laggiù, ancor più dopo la guerra delle Falkland, come in ossequio a una sorta di autoembargo psicologico. Nessuno fino a Olaoye: "Non conosco molto di quella guerra, è una storia accaduta molti anni prima di me, ma sono curioso e mi piacerebbe approfondire, nell’anno che trascorrerò qui". Della Mano de Dios gli hanno raccontato e sa. Appena giunto a Gerli, nella sede del club, gli hanno mostrato una foto con la mano di Diego e l’uscita a vuoto di Shilton, così, giusto per dirgli benvenuto. "In Inghilterra se ne parla ancora a distanza di trent’anni, nessuno gliel’ha perdonata. Io però ho visto e rivisto mille volte il suo secondo gol, quella cavalcata meravigliosa. Maradona è stato il più grande giocatore della storia del calcio".
Sta per arrivare la primavera sull’erba tagliata di fresco dello stadio Gildo Francisco Ghersinich. Nel Porvenir, negli anni Venti, militò Alejandro De los Santos, detto el Negro, uno dei pochissimi giocatori di colore ad aver indossato anche la maglia della nazionale albiceleste. David, ala sinistra, sta lavorando duro per farsi trovare pronto. Proviene dall’Interblock Lubiana, serie B slovena. Prima per lui l’OFI Creta e l’AO Tympaki. Suo fratello Daniel gioca in Svezia, nel Nordvärmlands. Entrambi non hanno trovato spazio nel calcio più bello del mondo, il più ricco, nel campionato dei miliardi, allora hanno iniziato a viaggiare e a scrivere, come reporter di un altro modo di avere vent’anni, ad un’indefinibile lontananza da casa.
David tiene un diario e l’Argentina, ora, gli sembra bellissima: "Un posto selvaggio, con gente meravigliosa. Al primo allenamento erano in mille. Lo stadio non sarà grande come Wembley, ma qui senti il soffio della gente sul collo. Vorrei diventare bravo come Neymar, lo studio, ho il suo ruolo e un buon dribbling. In futuro vorrei arrivare in nazionale, quella inglese o quella nigeriana, ho il doppio passaporto". Forse David, senza saperlo, sta sanando una ferita storica. O forse è solo un ragazzo che vuol giocare a pallone: "Quando ho detto alla mia famiglia e ai miei amici che sarei venuto a giocare in Argentina, tutti erano davvero stupiti, 'proprio in Argentina, ma perché?' mi dicevano. Ora spero che questa mia scelta porti gli inglesi a pensare all’Argentina in un modo diverso e li invogli a seguirmi. Parlo dei calciatori, ma anche della gente comune, dei ragazzi. Sto vivendo una grande esperienza e qualcosa di davvero unico".