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    La Serie A è il triste specchio dell'Italia di oggi: per fortuna che c'è Nicola...

    La Serie A è il triste specchio dell'Italia di oggi: per fortuna che c'è Nicola...

    • Giampiero Timossi
    Storie di calcio da un Paese sempre più povero. Il campionato di serie A, la sua giornata da record di gol (43, media mai così alta negli ultimi 10 anni, prima ancora del posticipo Pescara-Roma), ha raccontato questo. Almeno al Charuto e alla sua banda. Ci pensavo rimettendo in fila le analisi stagionali di Mario Sconcerti e unendole infine a un' intervista letta a tarda notte: colloquio con Justin Pierre James Trudeau, primo ministro del Canada, 45 anni. Va bene, può essere un percorso articolato, ma almeno fatemi spiegare come è nato.

    Il record di media gol a partita può piacere o no. Un sondaggio appena fatto su Twitter (dalla Domenica Sportiva) non ha definitivamente risolto il dubbio, ha solo sancito che la stragrande maggioranza dei calciofili italiani detesta lo 0-0. Ma questo primato urla: “Sono solo un record, non vera gloria”. Si segna molto, tanto, tantissimo, perché la posta in palio è poca, bassa, bassissima. La Juventus ha vinto lo scudetto, il resto è già archiviato, con l'esclusione di un'avvincente lotta per non retrocedere che vede coinvolte (dall'alto in basso) le squadre di Genoa (meno invischiato), Empoli e Crotone. Eccolo il risultato di un calcio ora più povero, in un Paese che dopo 16 anni di crisi ormai è povero davvero. Una povertà radicale, cosa triste, un “privilegio” raro che negli anni Settanta e Ottanta era riservato solo ad altri mondi, non al nostro. Un Paese dove ci sono sempre più ricchi e più poveri, con una spaccatura da Repubblica delle Banane. Un Paese dove passano carri funebri costruiti dalla Jaguar (giuro, l'ho visto) e dove un laureato in Architettura chiede l'elemosina inginocchiato all'uscita Moscova della metropolitana milanese (non ho visto l'attestato di laurea, ma mi fido di quello che mi ha raccontato). Ora anche il nostro calcio è diventato così, una conseguenza quasi inevitabile e in fondo pure un male minore confrontato a problemi ben più seri.

    Non è un calcio più debole, solo perché ha la Juventus, squadra che è una Ferrari, meglio di quella Jaguar citata prima. Loro, i bianconeri, hanno saputo costruire e ritrovare una forza senza paragoni, economica e sportiva. Ora la Juve è la più forte squadra d'Europa, al di là di quanto racconteranno semifinali e finale di Champions. E sono tre anni che i bianconeri di Allegri possono dire la loro nel G4 del calcio mondiale. Dietro, però, c'è il vuoto. Maglio, una spaccatura, come un ponte che sta per crollare, dove Roma e Napoli si aggrappano in bilico su un asfalto che scivola verso la superfice del fiume.

    Quel che c'è in mezzo è decisamente triste, fotografato in maniera quasi esemplare dalla Fiorentina . E' l'immagine della desolazione creata negli ultimi anni dal suo leder-tifoso, Matteo Renzi. Molta presunzione, nessuna passione. Non mi piace infierire sugli sconfitti, ma purtroppo Matteo Renzi è tutt'altro che uno sconfitto.

    E allora per fortuna che c'è il Crotone e il suo allenatore, Davide Nicola. L'ho rivisto domenica, ci eravamo salutati parecchi anni fa, a Genova: lui in campo con la maglia del Grifone, io in tribuna stampa con il portatile de Il Secolo XIX. Lui (ma direi anche il Charuto) ha la stessa passione di vent'anni fa, lo stesso sorriso, un'identica fame, una voglia endemica di capire e migliorare. Mi ha parlato di calcio, come Trudeau parla del suo Canada: fidatevi, il paragone non è azzardato. Il premier ha alzato dell'1% le tasse chieste dallo Stato ai più ricchi. Poi ha dato diritti, doveri, aiuti economici e speranze al ceto medio del Paese. Ha fatto qualcosa di sinistra, in modo moderno, anche più delle promesse messe in campo dal francese Emanuel Macron e dal suo “En Marche!”.

    Davide Nicola, nel suo piccolo, ha fatto cose simili: ha dato orgoglio al ceto medio dei suoi calciatori, gli ha spiegato i sacrifici che dovevano fare per “arrivare a giocarsela con quei campioni che prima ammiravano in tv”, si è sacrificato con loro. Gli investitori (la società) lo hanno sostenuto, gli elettori (i tifosi) si fidano e lo incitano, così è rinata la speranza di Crotone. É solo, calcio, certo. O forse no e comunque se qualche governante italiano buttasse un occhio al lavoro di Nicola non sarebbe male, avrebbe qualcosa da imparare. Intanto Vive Crotone! Toujours. 

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