Redazione Calciomercato
La Roma ha cacciato Dybala, ma il suo addio piace solo ai tifosi-contabili. La controrivoluzione è un futuro "giovane"
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Le immagini in ogni caso fanno il giro del mondo perché la presentazione e l'accoglienza si confa alla superstar. E Dybala, quel Dybala, promette ancora di esserlo. Che sia lì perché in fondo nessuno in Europa ci abbia creduto sul serio dopo il benservito della Juventus, interessa a pochi. È la promessa di un salto di categoria. Quella che la Roma a guida Mourinho, fresca vincitrice del primo trofeo internazionale della sua storia, ambisce a fare nella stagione successiva.
Due anni dopo, l'ambizioso progetto di un instant team con un instant coach, è naufragato sotto il peso di un'insostenibilità sia economica che emozionale. Le obsolete idee calcistiche di Mourinho e la narrazione del 'noi contro il mondo' crollano probabilmente nella sfortunata serata di Budapest. Lo sliding door del progetto è un calcio di rigore che il signor Anthony Taylor scopriremo poi non fischiare mai (leggasi Germania-Spagna a Euro 2024, o la recentissima mano di Kovacic in Chelsea-City dell'altro giorno).
Da lì, Roma e la Roma non si riprendono più.
L'ambiente ne esce svuotato, prosciugato. E senza le fondamenta di un'idea costruttiva di calcio, filosofia ormai imprescindibile, crolla il castello di sabbia del portoghese. E insieme a quello i sogni di gloria di una squadra, di una città, di una proprietà. Sì perché a quel punto sono i libri contabili a imporre ai Friedkin il cambio di rotta. Il nuovo all-in è sul futuro: tecnico giovane, investimenti sui giovani, e buona fortuna a De Rossi e i suoi ragazzi.
Qui dentro, Paulo Dybala, con i suoi 6 milioni a stagione, diventa di troppo. Figuriamoci a fronte di un'annata calcistica - questa alle porte - in cui 15 presenze avrebbero fatto scattare automaticamente il rinnovo fino al 2026 a 7 + 2 di bonus. No, fuori portata. Non ci sono altri trucchi o inganni nel raccontare questa vicenda. Il Dybala scaricato in Arabia è esclusivamente una questione economica.
Anche perché dal punto di vista tecnico, il giocatore non si discute. A oggi, per distacco, il più forte nella rosa dei giallorossi. Il problema, per la Roma - e per quello che già nell'estate del 2022 sia la Juventus che altre big d'Europa avevano evidentemente fiutato - è che questa forza si concretizza in circostanze sempre più limitate. Il Dybala delle ultime stagioni della sua carriera ci ha dimostrato con chiarezza come serva un particolare allineamento delle stelle affinché la sua luce diventi la più luminosa di tutte: dal contesto tattico a quello calcistico passando, chiaramente, per la condizione fisica, vero tallone d'Achille dello sfortunato Paulo.
Se ne sono accorti anche a Roma, ovviamente, con Dybala che nella scorsa stagione, ad esempio, è venuto a mancare quando il suo talento più sarebbe servito alla squadra. Le semifinali di Europa League col Bayer Levekusen; ma anche quella trasferta di Bergamo dove il club si giocò - senza successo - una fetta del suo futuro. E così, dentro a frangenti che si sono fatti sempre più limitati e specifici, la scelta è stata sacrificare il più forte. Lo impone la logica di gestione, più che il senso del calcio.
Ragion per cui in queste ore a Roma la partenza di Dybala rappresenta, per i tifosi, un lutto calcistico. Perché solo chi fa il contabile - o come noi è costretto a scindere l'emozione dalla razionalità delle cose - può vedere di buon occhio la partenza di un giocatore che, da fuori progetto, in 21 minuti è entrato in campo a Cagliari illuminando la scena, riuscendo laddove nessuna delle stelline del futuro - o presunte tali - era fin lì riuscita. Perché Paulo Dybala è per davvero fatto di un'altra pasta. E basta anche solo guardarne il controllo palla per una volta dal vivo per capirlo immediatamente.
Il vero peccato - per chi come il sottoscritto ne resta un enorme estimatore - è che nessuno in Europa abbia provato a volersi accollare questo enorme rischio. Perché di questo, freddamente, si parla quando si prova a inquadrare Dybala in una logica societaria: un grosso rischio economico. Rischio che la Roma non si vuole più accollare sull'altare della controrivoluzione intrapresa dalla cacciata di Mourinho. Servirebbero club e proprietà disposti ad accollarsi il peso di una ventina di partite in meno a stagione. Perché quelle sono state a Roma. 18 quelle in cui è stato totalmente indisponibile il primo anno. 16 quelle del secondo. Senza contare gli acciacchi, le sostituzioni, quelle giocate stringendo i denti e così via dicendo.
Servirebbe insomma tanto romanticismo per scommettere ancora su Dybala.
Romanticismo e un pizzico di follia. Sentimenti per i quali c'è sempre meno spazio in questo calcio. E così, senza cuori indomiti all'orizzonte europeo, la Joya se ne va in pensione in Arabia a soli trent'anni. E lo fa lasciandoci qualcosa in più di un po' di malinconia. Perché non mancherà solo ai romantici e agli esteti, ma anche a quelli che, oltre al calciatore, hanno visto, conosciuto o più semplicemente compreso la persona. Dybala è stato un puro. E a Roma, dove sono pancia e cuore a dettare le regole, questo l'hanno capito fin dall'inizio. Da quella notte all'Eur dove il ragazzo rimase senza parole. Per quello, oggi, fa male a tanti.
Quelle parole mi hanno distrutto.. scusate se ho fatto questo video pic.twitter.com/Cjesl4f6wS
— Orgogliocapitolino (@asrorgogliocap1) July 19, 2024