La Nazionale della letteratura:| 11 pagine memorabili
«Se vincesse sempre il migliore ti saluto football»: parole di Carletto Parola, detto Gauloise, a Giovanni Arpino. Fanno sponda a una «Premessa di Rigore» alla formazione messa in campo in queste pagine. Già le scelte legate alla letteratura sono le più contestabili al mondo (c’è chi sostiene serenamente che Proust è noioso). Se alla letteratura abbinate il calcio, il cortocircuito brucia ogni possibilità di esprimere opinioni condivise. Quindi:
1. Portiere. Dino Zoff. Mario Soldati lo celebra il 18 giugno 1982 in occasione della partita numero 101 in Nazionale, citando il pensiero di Enzo Bearzot: ha 40 anni ma è il più giovane di tutti, è rimasto un ragazzo, il fanciullino. Ma il portiere è anche un personaggio mitico, un pazzo non paragonabile ai dieci compagni in campo. Quello che soffre di più quando piglia un gol. Umberto Saba ha costruito un monumento al Portiere Ignoto: «Il portiere caduto alla difesa/ ultima vana, contro terra cela/ la faccia, a non veder l’amara luce./ Il compagno in ginocchio che l’induce,/ con parole e con mano, a rilevarsi,/ scopre pieni di lacrime i suoi occhi». Anche Peter Handke in Prima del calcio di rigore (meglio il titolo originale in tedesco L’angoscia del portiere dagli undici metri) racconta di Joseph Bloch che, braccato dopo aver ucciso la compagna di una notte, prova una paura simile a quella che lo turbava quando si trovava di fronte a un avversario pronto a tirare il calcio di rigore. Scrive Handke: «Il portiere si domanda in quale angolo l’altro tirerà. Se conosce il tiratore, sa quale angolo si sceglie di solito. Può darsi però che anche l’incaricato del calcio di rigore calcoli che il portiere ci pensa. Quindi il portiere pensa che oggi, per una volta, il pallone arriverà nell’altro angolo. Ma se il tiratore continuasse a pensare insieme al portiere e decidesse quindi di tirare nel solito angolo? E così via e così via». Leggendo la paura del portiere, Zoff scuote la testa: non esageriamo e poi ogni tanto un rigore si para. «Con quelle mani rese immortali da Guttuso che alzano la coppa del Mundial ’82» come scrive Darwin Pastorin ne I portieri del sogno (Einaudi) in cui ricorda anche come portieri siano stati nel loro giovanile amore per il calcio Camus, Nabokov e Evtushenko.
2. Terzino destro. Tarcisio Burgnich. Che sia il migliore può essere, che sia il più rappresentativo della specie è certo. Scrive Beppe Severgnini in Manuale dell’imperfetto sportivo (Rizzoli): «Il terzino destro è un animale completamente diverso (dal portiere). Salvo eccezioni, si tratta di persone senza particolari guizzi (ma ricordate il gol di Tarcisio Burgnich in Italia-Germania del 1970?). Hanno caratteri ruvidi e introversi, e da principio possono non piacere… Se trovano una donna-ala sinistra, la marcano stretta per tutta la vita, e sono felici».
3. Terzino sinistro. Giacinto Facchetti. Il più bravo (ci sono anche Paolo Maldini e Antonio Cabrini; obiezione accolta). In Azzurro tenebra (Einaudi, 1977) Giovanni Arpino parla della Nazionale e degli ultimi romantici, anche se in brache corte; guarda Facchetti: si allena da solo mentre i piagnoni, le contesse della squadra, i nomi aurei oziano in albergo.
Maldini se l’è scritta da solo. Nel sito degli aforismi, accanto a Oscar Wilde c’è anche lui: «Se da bambino mi fossi scritto una storia, la storia più bella che mi potessi immaginare, l’avrei scritta come effettivamente mi sta accadendo». Aveva già vinto «circa»: 7 scudetti, 5 coppe campioni, una coppa Italia, 5 supercoppe italiane, 5 supercoppe europee, 3 coppe intercontinentali…
4. Mediano. Gabriele, Lele, Piper Oriali. Troppo facile, Ligabue: «Una vita da mediano a recuperar palloni, nato senza i piedi buoni, lavorare sui polmoni; una vita da mediano con dei compiti precisi, a coprire certe zone, a giocare generosi; lì, sempre lì, lì nelmezzo, finché ce n’hai stai lì. Una vita da mediano, da chi segna sempre poco che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco. Una vita da mediano: che Natura non ti ha dato né lo spunto della punta né del 10, che peccato… Una vita da mediano, lavorando come Oriali, anni di fatica e botte; e vinci, casomai, i Mondiali».
5. Stopper. Pietro Vierchowod. Lo canta in versi nella sua storia poetica del calcio mondiale (La solitudine dell’ala destra, Einaudi) Fernando Acitelli: «Ghepardo centenario, e anche… “mercenario”, almeno per le maglie che indossasti… Happening di lupi al Circo Massimo e il Colosseo di nuovo in vista almondo. Poi i doriani in festa». Ma il più emozionante stopper è descritto da Edmondo Berselli in Il più mancino dei tiri (Il Mulino), Comunardo Niccolai. «Non si limita a produrre qualche occasionale seppur deprecabile misfatto difensivo: le autoreti che realizza sono fenomeni o processi spettacolari, complessi, acrobatici, altamente ritualizzati, perseguiti con una specie di inconsapevole ma integralistica ostinazione, che esaltano l’immaginario collettivo e si proiettano in leggenda».
6. Libero. Franco Baresi. Riuscì a destabilizzare non soltanto gli attaccanti avversari e a volte anche le difese avversarie con le sue incursioni, ma pure la tranquilla televisione di «Novantesimo minuto» e della «Domenica sportiva» degli anni Ottanta. Freda e Ventura venivano assolti al processo per piazza Fontana. E tornavano liberi. Franco Baresi era un giovane libero. Beppe Viola nel suo servizio su una partita del Milan commentò così una volata del giovane libero che arrivato in slalom al limite dell’area avversaria servì un perfetto assist: «Guardate che cosa riesce a fare Franco Baresi: ormai sarebbe il miglior libero d’Italia e il più noto se non ci fossero Freda e Ventura». Apriti cielo.
7. Ala destra. Gigi Meroni. La Farfalla. Che poi è anche il titolo del libro che gli ha dedicato Nando Dalla Chiesa. Per Dalla Chiesa è La farfalla granata. Per il gruppo folk-rock Yo Yo Mundi è «la farfalla indiavolata». Ascoltiamoli, quando parlano di questo talento che non è riuscito a esprimersi fino in fondo perché è morto a 24 anni travolto da un’auto. Dalla Chiesa: «Una morte insopportabile come quella, lo stesso anno, di Luigi Tenco. Erano due interpreti del loro tempo. Era il 1967, in tutti e due ribolliva il cambiamento che sarebbe arrivato da lì a poco. Meroni non aveva la più pallida idea che stava per arrivare il Sessantotto, ma già incarnava uno spirito di libertà inusuale». Quanto bastava per fare scandalo. Ma «lascia che si scandalizzino annoiati da una vita senza fantasia — cantano gli Yo Yo Mundi in Chi si ricorda di Gigi Meroni? —, lasciamo che ci giudichino da quel pulpito tanto provinciale, lasciamoli parlare che si divertono così, anzi, diamogli più corda e che s’impicchino… e li faccio sognare, in balia delmio spirito innocente, li stupisco sempre, sono un giocoliere, li faccio godere, geniale, anarchico e irriverente, tutti battono le mani, si alzano improvvisamente per non perdere di vista la palla avvelenata che sembra impazzire innamorata, quando sulla fascia vola la Farfalla Indiavolata».
8. Mezzala destra. Giacomo Bulgarelli. «Gioca un calcio in prosa, egli è un prosatore realista», scriveva Pier Paolo Pasolini nei Saggi sulla letteratura e sull’arte. (Pasolini gli fece fare anche la parte di se stesso nel film-documentario Comizi d’amore: il giovane calciatore parla di calcio, di morale, di sesso, d’amore, di rapporti sociali…).
Anche Sandro Mazzola ha quasi sempre indossato la maglia numero 8, ma non era propriamente una mezzala destra. Distinzione che non sfugge a Pasolini: «Mazzola è un elzevirista che potrebbe scrivere sul “Corriere della Sera”, ogni tanto egli interrompe la prosa e inventa lì per lì due versi folgoranti». Ora che, dal numero 8 in avanti, fa irruzione in questa squadra Pasolini, bisogna tener conto della sua estetica del football: «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro… Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio… con i suoi poeti e i suoi prosatori… Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosastico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico… Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del gol. Ogni gol è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni gol è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica… Anche il dribbling è di per sé poetico. Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare… una cosa sublime… ma non succede mai».
C’è un altro numero 8 da urlo: quello di Marco Tardelli. Unica differenza con quello di Edvard Munch: l’urlo di Munch è di terrore, l’urlo di Tardelli è di gioia.
9. Centravanti. Paolo, Pablito, Rossi. Vale quello che scrisse Mario Soldati il 17 giugno 1982 (Italia-Polonia): «… proprio in quell’area Paolo Rossi tre o quattro volte si aggirò, insistette a aggirarsi con funambolesca agilità di gambe e piedi giocolieri intorno al pallone, mentre a pochi metri un suo compagno attendeva il passaggio, e mentre invano un avversario tentava di insinuarsi rompendo l’incanto».
10. Mezzala sinistra: Gianni, Golden Boy, Abatino Rivera. Il numero uno dei numeri dieci. In Azzurro tenebra (Einaudi) Giovanni Arpino lo descrive ai mondiali in Germania del 1974: «Il Golden Boy dondola le cosce ipertrofiche ma si mostra affilato nel naso, c’è un sacrificio indecifrabile nelle sue occhiaie peste, sente il destino e l’incognita del proprio sangue, e intanto le mani seguitano a strofinarsi l’una nell’altra, incapaci di requie».
C’è anche il 10 di Roberto Baggio: quel ginocchio disintegrato che avrebbe cancellato la carriera a chiunque, quella macchina per recuperare la forza perduta. Ernest Hemingway era stato preveggente. Dal racconto In un altro paese: «Il dottore si avvicinò alla macchina… Il mio ginocchio non si piegava e la gamba pendeva irrigidita dal ginocchio alla caviglia, senza polpaccio, e la macchina doveva piegare il ginocchio e farlo muovere come se andassi in bicicletta. Ancora non si piegava, però… Il dottore disse: “Tutto questo passerà. Lei è un giovanotto fortunato. Tornerà a giocare a football come un campione”».
E c’è anche Roberto Mancini, un 10 tanto anomalo che Eugenio Buonaccorsi, docente di Storia del teatro, lo paragona «agli attori della Commedia dell’arte che talvolta diventano artisti inventando battute (assist) folgoranti».
11. Ala sinistra. Luigi, Gigi, Luis Riva. «Riva è intelligente e — tuttavia — coraggioso fino alla temerarietà. Esaltandomi in lui da conterraneo lombardo sono giunto a chiamarlo “Re Brenno” e persino “Rombo di tuono”. Penso che se fosse nato durante la loro invasione, lui e non altri avrebbe condotto i Padri Galli alla conquista di Roma: se fosse nato nel Medioevo, lui e non altri avrebbe guidato i Lombardi a Legnano… E nel Rinascimento sarebbe diventato Capitano di ventura, uno sicuramente nato per conquistare città e castelli… Effettivamente Luis ha la forma mentis e la struttura fisica dell’eroe come ci ha insegnato a vedere la storia, non solo quella sportiva». Chiaro che si tratta di Gianni Brera (Il mestiere del calciatore, Mondadori). Altrettanto chiaro che Riva «è il più grande attaccante italiano, forse del mondo».
Allenatore. Pier Paolo Pasolini. Così anche i calciatori imparerebbero che «il football è un linguaggio, un sistema di segni», che «i cifratori di questo linguaggio sono i giocatori», che quelli «sugli spalti sono i decifratori» e che «i due hanno in comune un codice. Chi non conosce il codice del calcio non capisce il significato delle sue parole (i passaggi) né il senso del suo discorso (un insieme di passaggi)». Pasolini saprebbe fare una formazione «equilibrata» tra chi «gioca in prosa» e chi «gioca in poesia».