La lotta ai fascismi e all'omofobia: Goretzka e Rapinoe ci ricordano che 'i calciatori sono politici in pantaloncini'
Fritz Walter, un grandissimo del calcio tedesco, sosteneva che i calciatori fossero "politici in pantaloncini". Lui, che era stato un'icona per il suo Paese per essere finito nei campi di prigionia sovietici al termine della Seconda Guerra Mondiale - prima di diventare uno degli eroi della Coppa Rimet 1954, quella del "miracolo di Berna" - rivendicava il diritto e la necessità per gli sportivi di prendere una posizione, alla luce dell'esposizione mediatica di cui godono e per quello che possono ispirare nelle generazioni a venire. Nel corso degli anni, anche oggi, non mancano esempi di giocatori che abbiano abbracciato una determinata fede politica e l'abbiamo apertamente manifestata, ma rimane un fatto raro trovare personaggi con le caratteristiche di Leon Goretzka o Megan Rapinoe.
CONTRO I FASCISMI - Centrocampista del Bayern Monaco e della nazionale tedesca, cresciuto (anche calcisticamente) nel cuore della Ruhr - regione di fabbriche e di miniere - a pane e rivendicazioni sindacali, Goretzka è un ragazzo decisamente fuori dagli schemi rispetto al cliché del calciatore dedito perlopiù alle cose frivole. In compagnia del compagno di squadra Joshua Kimmich, ha raccolto fondi per i soggetti più esposti e in difficoltà col progetto #WekickCorona: un'iniziativa che ha poi raccolto il consenso di altri colleghi e che ha avuto una grande eco in Germania in piena emergenza coronavirus. Ma Goretzka è anche molto altro: rivendica in maniera accorata la possibilità di affrontare argomenti "scomodi" nelle interviste, di non essere il classico sportivo che risponde come una macchinetta su come sia andata la partita, delle sue ambizioni contrattuali-economiche, di calciomercato... Goretzka ha spesso affrontato il tema del razzismo, che in Germania e nel calcio in generale è tornato ad essere un fenomeno preoccupante. O quando ha segnalato le sue inquietudini per l'avanzata nel suo Paese delle forze di estrema destra, fino ad utilizzare i propri canali sociali per promuovere la lotta all'antisemitismo - ricordando anche la sua visita all'ex campo di sterminio di Dachau - in una nazione evidentemente toccata da questo tema.
PALLONE D'ORO DEI DIRITTI - Essere personaggio politico, fare politica non vuol dire essere soltanto appartenente a un determinato schieramento o "strusciare" alcune ideologie, un fenomeno che in Italia, dagli Anni Settanta in poi, è diventato frequente. Dall'ex giocatore del Perugia Paolo Sollier a molti componenti della Lazio di Maestrelli, passando per i Cristiano Lucarelli o i Paolo Di Canio di un calcio temporalmente più vicino a quello di oggi. Goretzka ci dimostra qualcos'altro, come anche Megan Rapinoe. Pallone d'oro al femminile 2019, punto di forza della nazionale statunitense campionessa del mondo in carica, ma anche grande paladina per i diritti della comunità gay-lesbica. Un tema a lei molto caro, affrontato anche nel libro "Storie di libertà per ragazze e ragazzi che inseguono grandi sogni", scritto da Giovanni Molaschi ed edito da De Agostini, che esce oggi - nella Giornata Mondiale contro l'Omofobia - e nel quale si raccontano le sue battaglie da attivista. In un Paese come gli Stati Uniti in cui è ancora in atto una lotta per ottenere il riconoscimento della parità salariale nel calcio tra uomini e donne (il vero fiore all'occhiello del movimento a stelle e strisce, con i suoi 4 titoli mondiali e gli altrettanti ori olimpici) e in cui le prese di posizione dell'amministrazione Trump nei confronti delle minoranze hanno inasprito il dibattito.
CANDIDATA - Non è un caso che Megan Rapinoe abbia spesso sfidato l'attuale presidente a più riprese, mettendo in atto anche proteste plateali come il gesto di non cantare e di inginocchiarsi durante l'inno o di rifiutare la visita alla Casa Bianca per ricevere i complimenti per la vittoria della Coppa del Mondo della passata estate. O candidandosi, tra il serio e il faceto, al ruolo di vice-presidentessa per Joe Biden, l'esponente del partito democratico che proverà a evitare la rielezione di Trump. "I calciatori sono politici in pantaloncini": il messaggio di Fritz Walter di 70 anni oggi è davvero più attuale che mai.
CONTRO I FASCISMI - Centrocampista del Bayern Monaco e della nazionale tedesca, cresciuto (anche calcisticamente) nel cuore della Ruhr - regione di fabbriche e di miniere - a pane e rivendicazioni sindacali, Goretzka è un ragazzo decisamente fuori dagli schemi rispetto al cliché del calciatore dedito perlopiù alle cose frivole. In compagnia del compagno di squadra Joshua Kimmich, ha raccolto fondi per i soggetti più esposti e in difficoltà col progetto #WekickCorona: un'iniziativa che ha poi raccolto il consenso di altri colleghi e che ha avuto una grande eco in Germania in piena emergenza coronavirus. Ma Goretzka è anche molto altro: rivendica in maniera accorata la possibilità di affrontare argomenti "scomodi" nelle interviste, di non essere il classico sportivo che risponde come una macchinetta su come sia andata la partita, delle sue ambizioni contrattuali-economiche, di calciomercato... Goretzka ha spesso affrontato il tema del razzismo, che in Germania e nel calcio in generale è tornato ad essere un fenomeno preoccupante. O quando ha segnalato le sue inquietudini per l'avanzata nel suo Paese delle forze di estrema destra, fino ad utilizzare i propri canali sociali per promuovere la lotta all'antisemitismo - ricordando anche la sua visita all'ex campo di sterminio di Dachau - in una nazione evidentemente toccata da questo tema.
PALLONE D'ORO DEI DIRITTI - Essere personaggio politico, fare politica non vuol dire essere soltanto appartenente a un determinato schieramento o "strusciare" alcune ideologie, un fenomeno che in Italia, dagli Anni Settanta in poi, è diventato frequente. Dall'ex giocatore del Perugia Paolo Sollier a molti componenti della Lazio di Maestrelli, passando per i Cristiano Lucarelli o i Paolo Di Canio di un calcio temporalmente più vicino a quello di oggi. Goretzka ci dimostra qualcos'altro, come anche Megan Rapinoe. Pallone d'oro al femminile 2019, punto di forza della nazionale statunitense campionessa del mondo in carica, ma anche grande paladina per i diritti della comunità gay-lesbica. Un tema a lei molto caro, affrontato anche nel libro "Storie di libertà per ragazze e ragazzi che inseguono grandi sogni", scritto da Giovanni Molaschi ed edito da De Agostini, che esce oggi - nella Giornata Mondiale contro l'Omofobia - e nel quale si raccontano le sue battaglie da attivista. In un Paese come gli Stati Uniti in cui è ancora in atto una lotta per ottenere il riconoscimento della parità salariale nel calcio tra uomini e donne (il vero fiore all'occhiello del movimento a stelle e strisce, con i suoi 4 titoli mondiali e gli altrettanti ori olimpici) e in cui le prese di posizione dell'amministrazione Trump nei confronti delle minoranze hanno inasprito il dibattito.
CANDIDATA - Non è un caso che Megan Rapinoe abbia spesso sfidato l'attuale presidente a più riprese, mettendo in atto anche proteste plateali come il gesto di non cantare e di inginocchiarsi durante l'inno o di rifiutare la visita alla Casa Bianca per ricevere i complimenti per la vittoria della Coppa del Mondo della passata estate. O candidandosi, tra il serio e il faceto, al ruolo di vice-presidentessa per Joe Biden, l'esponente del partito democratico che proverà a evitare la rielezione di Trump. "I calciatori sono politici in pantaloncini": il messaggio di Fritz Walter di 70 anni oggi è davvero più attuale che mai.