La lezione di Nadia Nadim: dalla guerra con fuga dai talebani a stella di City e PSG. Ora la laurea in chirurgia
La lezione di Nadia Nadim è di quelle importanti, fragorose, ti sconvolge come un temporale in piena estate, quando sei senza riparo: parole spossanti, dure, a volte persino feroci, ma che non possono e non vogliono lasciare indifferente chiunque ne venga investito. In pochi possono dire di aver vissuto in un'intera esistenza tutto quello che ha passato la calciatrice danese di origine afghana in soli 32 anni di vita, in pochi possono affermare di aver subito così tanti sconvolgimenti, positivi e negativi. La sua è una storia che, soprattutto in questo difficile periodo, merita di essere raccontata. E ascoltata. A bocca chiusa, per una volta.
DALLA GUERRA E LA MORTE DEL PADRE IN AFGHANISTAN ALLA DANIMARCA - Nadia aveva soltanto dodici anni, nel 2000, quando la sua parabola personale e quella del suo paese, l'Afghanistan, vennero sconvolte per sempre: in quell'anno, in seguito allo scoppio della guerra, il padre, un generale dell'esercito afghano, venne ucciso dai talebani, mentre a lei fu impedito di tornare a scuola. Una catastrofe personale all'interno di una tragedia mondiale, che la costrinse a scappare da Kabul, con la madre e quattro sorelle, per cercare non tanto fortuna, ma un po' di pace, in Europa: un viaggio terribile, devastante, in un camion colmo di fuggitivi che, dopo essere transitato dal Pakistan ed essere arrivato, in seguito a un viaggio senza speranza, in Italia, prosegue verso il Nord, lasciando Nadia e i suoi famigliari in un campo per rifugiati a Randers, in Danimarca.
LA PASSIONE PER IL CALCIO - Sembra la fine della storia, è solo l'inizio: la Nadim si appassiona al mondo del calcio e inizia a praticarlo con grande perizia e assiduità. Per una ragazza come lei, sfuggita per miracolo agli orrori della guerra ma lontana da casa e moralmente "straniera in terra straniera", il pallone è un'ancora di salvezza fondamentale: da rifugiata, impara ad apprezzare uno sport che praticamente non aveva mai conosciuto, a casa propria. Una casa che per Nadia diventa sempre più il paese che l'ha saputa accogliere e adottare: innamoratasi del calcio, da allora ha giocato ben 93 partite con la maglia della nazionale della Danimarca, divenendo una formidabile attaccante e una delle calciatrici più importanti al mondo.
DAL CITY AL PSG ALLLA...LAUREA IN CHIRURGIA! - Ma stare ferma non le si addice, sotto nessun punto di vista: dopo le esperienze calcistiche in Danimarca, negli Usa, tra New Jersey e Portland, e in Inghilterra, a Manchester sponda City, ora è a Parigi dove, prima del blocco dovuto al coronavirus, ha aiutato il PSG a raggiungere i quarti di finale di Champions League, in programma contro l'Arsenal. Ma non basta. La Nadim parla fluentemente sette lingue ed è a solo semestre dalla laurea in medicina, con specializzazione in chirurgia ricostruttiva. Un'impresa, per un'atleta professionista: "Non credo che molte persone possano dire di aver vissuto tutto questo durante la loro intera vita. Non voglio sembrare arrogante, ma penso di avere più intuito della maggior parte della gente, quando si tratta di altri esseri umani, cultura, religione, lingua. Questo è stato costruito dentro di me da mondi diversi", le sue parole al quotidiano inglese Guardian.
DA RIFUGIATA A MEDICO. SUL LOCKDOWN: 'PUOI PENSARE CHE LA VITA FACCIA SCHIFO...' - Pronta per fare la differenza anche lontano da un campo da calcio, con camice, mascherina e strumenti da chirurgo: quando la sua carriera nel mondo del pallone finirà, ne inizierà un'altra, più difficile e faticosa, con maggiori responsabilità. Per salvare una vita e regalarsi ancor più emozioni di quando si realizza un gol al 90' nella propria squadra del cuore, per ricostruire una faccia o un arto dopo un incidente d'auto o un bombardamento. Il calcio le ha cambiato la vita, trasformandola da rifugiata a personalità più importante di Danimarca, nel 2017. Il calcio le ha aperto il mondo e tuttavia, come tutti noi, ora è "in prigione", un termine che la fa sorridere visto quanto ha passato: "Prima di questa pandemia, quando le persone in Occidente vedevano notizie su altri paesi in guerra o in miseria, sembravano alieni. A nessuno importava davvero, ma ora tutti si sentono colpiti. Spero che questo porti alla compassione e all'empatia che si stavano perdendo nel nostro mondo"
LA LEZIONE DI NADIA - Ma le parole più toccanti arrivano alla fine e sono da tenere a mente, soprattutto da parte coloro che non hanno affrontato gli ultimi due mesi di lockdown con il corretto spirito e li hanno utilizzati in maniera negativa, nevrotica, ansiogena: "In questo momento puoi lamentarti di essere a casa e pensare: "La mia vita fa schifo." Ma puoi anche essere grato di vivere in una società in cui puoi stare a casa e avere ancora cibo e un tetto sulla testa". Il destino è ancora nelle nostre mani, da qualunque punto di vista lo si guardi: avremo ancora speranze, avremo ancora sogni. Non si sa quando torneremo alla normalità, ma nel frattempo bisogna vivere: per avere un futuro migliore, per realizzare un domani che ci renda orgogliosi di come abbiamo affrontato l'oggi. Per non dimenticare la lezione di Nadia.
@AleDigio89