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Agnelli, la Juve non deve permettere che in suo nome si evochi il fascio
Il fatto di cronaca, clamoroso e fastidiosamente assordante, è stato quello del corteo dichiaratamente fascista organizzato da cinquanta "neo-squadristi" in trasferta a Bologna e sviluppatosi, prima della partita, sotto la curva per gli ospiti del Dall'Ara e di fronte alla lapide che ricorda l'allenatore ungherese ed ebreo Arpad Weistz, deportato e poi assassinato ad Auschwitz nel 1944.
L'orrendo manipolo nero era composto perlopiù da giovani e giovanissimi, i quali sicuramente manco sanno chi fosse il martire ricordato dalla lapide e che con molta probabilità del nazi-fascismo e del periodo più oscuro della nostra civiltà sanno in egual misura, cioè un bel niente. Tutti uniti e compatti con il passo spavaldo da "marcia su Roma", alternando lo slogan "me ne frego" con quello di "Forza Juve". Tra di loro non è assolutamente escluso che vi fossero alcuni di coloro che avevano giustamente manifestato contro l'amministrazione comunale di Bruxelles, che aveva consentito di piazzare i cassonetti della differenziata proprio sotto la stele dei caduti all'Heysel.
La reazione dovrebbe essere quella della rabbia, invece ciò che sento dentro è soltanto una profonda tristezza. Tristezza per quelli che sono i nostri ragazzi e anche per noi anziani, che evidentemente non siamo stati in grado di insegnare niente rispetto ai fondamentali della nostra storia, passata anche attraverso l'oscuro tunnel della violenza e della prepotenza. Purtroppo per noi e per il nostro Paese, stiamo vivendo un momento cruciale per ciò che riguarda il futuro politico e sociale, nel cui disegno abbozzato si intravedono preoccupanti segnali di deriva verso modelli d'intolleranza e di prevaricazione, con i quali pensavamo di aver più nulla a che fare neppure a livello di pensiero. Una teoria, quella della prevalenza del più forte e del disprezzo del più inerme, che ieri ha tracimato anche nel calcio di marca bianconera seguendo lo sciagurato esempio dato, poche settimane prima, dagli "squadristi" della Lazio sempre a Bologna e sempre davanti a quello stadio che proprio Mussolini aveva voluto battezzare "Littoriale".
Ma se la gran parte della curva laziale è da sempre conosciuta e riconoscibile per la sua "anima nera" (forse perché il Duce, seppure strumentalmente non aveva mai nascosto la sua simpatia per la squadra romana) il discorso si fa differente se rapportato al nome della Juventus. Una società che, anche ai tempi del ventennio, aveva almeno ufficiosamente mantenuto le distanze dal regime nella stessa persona del presidente della Fiat, il senatore Giovanni Agnelli, la cui antipatia persino di pelle per il Duce era dichiarata oltreché reciproca. La storia riferisce che, quando per la prima e unica volta Mussolini decise di visitare gli stabilimenti di Mirafiori, trovò un clima talmente gelido e ostile da parte degli operai e del proletariato torinese che mollò tutto a metà e parti lestamente per Roma.
Detto questo e per arrivare a una conclusione pratica, io credo che la Juventus nella persona del presidente Andrea Agnelli e dei suoi più stretti collaboratori abbia il sacrosanto dovere non solo di dissociarsi dalla orribile sceneggiata di quel non troppo piccolo gruppo di "tifosi", ma di "punirli" con le armi che ha a propria disposizione per aver affiancato e sovrapposto l'immagine e i colori bianconeri a quello del "nero" anticostituzionale. Riconoscibilissimi e identificati dalle telecamere della polizia, i cinquanta "menefreghisti", dopo una salutare pausa di riflessione, potranno tornare allo stadio cantando l'inno della Juventus e non "Faccetta nera".