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    La Fiorentina è un eterno sparring partner e Montella non è l'uomo giusto

    La Fiorentina è un eterno sparring partner e Montella non è l'uomo giusto

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Quando mancano quattro giornate alla fine del campionato, la Fiorentina non è ancora matematicamente salva. A 40 punti, gli stessi del Cagliari e uno in meno del Sassuolo, la squadra che fu di Pioli e ora è di Montella affronterà domenica l’Empoli in un derby dai toni sincopati. Eppure, neanche tanto paradossalmente, potrebbero essere proprio i viola ad offrire un’occasione di rilancio ad Andreazzoli e alle sue truppe demoralizzate dalla classifica. Con tre punti l’Empoli tornerebbe a ridosso dell’Udinese se quest’ultima perdesse in casa con l’Inter. La Fiorentina, comunque vada a Empoli e anche dopo, ovviamente si salverà, ma è il ruolo di eterno sparring partner, la riduzione ai minimi termini e uno scivolamento ineludibile verso il nulla  a far schiumare di rabbia i suoi tifosi.

    La contestazione alla proprietà dei fratelli Della Valle è massiccia come poche volte prima. Ma, come sempre in questi casi, non risparmia nessuno tanto da lambire, seppur marginalmente, perfino Giancarlo Antognoni, club manager della società, l’icona della fiorentinità, il capitano venerato nel bene, nel male e oltre ogni tempo, colui che incarna la bandiera, i colori, la fede. Antognoni - è bene chiarirlo anche se non ce n’è propriamente bisogno - non ha nessuna responsabilità. Il suo è un ruolo di collegamento tra la squadra nella sua interezza e presidente con la proprietà. Anzi, sia l’anno scorso con la precoce morte di Astori, sia quest’anno nei troppi momenti tecnici tempestosi, Antognoni è stato lasciato solo al cospetto di situazioni che avrebbero travolto chiunque altro. Invece le ha governate perchè si tratta di un dirigente credibile e di una persona seria.

    Qualcosa di più mi sarei aspettato da Vincenzo Montella, anche se è stato l’ultimo a salire a bordo. Con lui, chiamato al posto di Pioli, la Fiorentina, che già faceva sincera pena, è peggiorata fino a sprofondare sul piano dell’approccio, delle attenzioni e delle intenzioni, delle soluzioni di gioco, dell’atteggiamento complessivo. Evidentemente la squadra non ha ancora assimilato il nuovo allenatore e, forse inconsciamente, lo rifiuta. L’eliminazione dalla Coppa Italia e la sconfitta a Torino con la Juve erano prevedibili e, comunque, sono state onorevoli. Meno il pareggio con il Bologna e il tracollo interno con il Sassuolo. Se Montella sarebbe dovuto essere l’estintore per domare o ridurre un incendio crescente, l’operazione è certamente fallita. Anzi, già per questo stentato avvio si allungano ombre sinistre su un rapporto che, in pura teoria, dovrebbe durare a lungo.

    La domanda non è banale: è davvero Montella l’uomo giusto? O forse per le caratteristiche e le esperienze precedenti non era forse il caso di puntare su Di Francesco, trattenendo Pioli fino a fine stagione? Di Francesco era una scelta di Pantaleo Corvino, il più odiato dai tifosi viola dopo Diego e Andrea Dalla Valle. La sua colpa è speculare al merito che ha acquisito davanti alla proprietà: ha fatto cassa con le cessioni e costruito una squadra di levatura ridotta, la solita Fiorentina transitoria, ibrida e senza cuore, quasi incidentale dentro alla narrazione - direbbe Matteo Renzi - del romanzo italiano del calcio. Corvino, al contrario di quello che dicono e scrivono i tifosi della Fiorentina, non è un servo, ma un dipendente. Fa il direttore generale e certamente deve rispondere ai Della Valle. Forse, al posto suo, qualcuno avrebbe lasciato, ma è uno che ha costruito la sua vita nel calcio, sa com’è fatto, sa chi comanda e vi si adegua. 

    Il punto, dunque, è la proprietà. Se è vero che l’irruzione dei Della Valle nel calcio ha riportato la Fiorentina alla nobiltà della Serie A dopo lo sfascio di Cecchi Gori, è altrettanto vero che ci si è innamorati più delle parole (“progetto” la più gettonata) e meno degli obiettivi. I Della Valle, che all’inizio non nascondevano le proprie ambizioni sportive, si sono gradualmente ripiegati su loro stessi, imponendo una gestione di piccolo cabotaggio, molto attenta ai conti, poco sensibile alle esigenze dei tifosi. Il paragone che mi viene più naturale è con il Torino di Cairo, che per dimensioni e storia recente è accostabile alla Fiorentina. Un paio di mesi fa le due squadre viaggiavano sostanzialmente appaiate, adesso sono divise da 16 punti. Di sicuro il Torino, in lotta per Champions o Europa League, possiede una rosa migliore, ma la differenza, almeno per me, la stanno facendo il sostegno e l’attenzione che la società hanno per il traguardo sportivo. Che poi è anche un traguardo economico: andare in Champions o in subordine in Europoa League significa produrre utili. Vendere Chiesa - perchè sarà così -, se, da una parte, dà fiato al bilancio, dall’altro svuota la squadra di valori e potenzialità. Alla fine è necessario decidere: o la Fiorentina o la mediocrità

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