Las Rozas: da Cruijff a Messi, così la Spagna è arrivata in cima al mondo
“Sei un viaggio che non ha né meta né destinazione” cantavano giusto una quindicina di anni fa esatti i Sonohra, vincitori dell’edizione di Sanremo del 2008 nella sezione giovani. “L’amore”, il titolo della traccia. Ed è proprio quel puro sentimento verso il calcio che ci sta muovendo nella nostra ricerca – e scoperta – del panorama calcistico europeo, in particolar modo soffermandoci sulle modalità con le quali i talenti vengono cresciuti dalle nazioni più blasonate del Vecchio Continente. Ma se l’allora giovane duo intraprendeva un percorso senza meta né destinazione, il nostro viaggio, invece, ci porterà verso una precisa direzione. Oggi, dopo aver visionato il modello francese di Clairefontaine (QUI) e quello inglese (QUI), ci dirigiamo in Spagna, per conoscere come le Furie Rosse coltivino il talento dei loro giovani calciatori.
I FRUTTI DEL MODELLO SPAGNOLO – Questa volta, prima di cominciare la disanima del centro federale spagnolo, non facciamo un passo indietro ma uno in avanti. Un flashback per noi, ma un flashforward dal punto di vista della cronologica narrazione di questa avventura. I frutti del successo del modello spagnolo sono stati evidenti ad un’intera generazione di appassionati. Una nazionale che, prima del 2008, era riuscita a vincere in una sola occasione gli Europei – nel 1964 in finale contro l’URSS – ed aveva centrato, al massimo, i quarti di finale dei Mondiali. Grazie alla riforma e ad un nuovo e preciso sviluppo dei talenti spagnoli, le Furie Rosse sono state capaci di diventare campioni d’Europa back to back tra il 2008 ed il 2012 e vincere la Coppa del Mondo nel 2010, completando un quadriennio di assoluto dominio internazionale. La generazione d’oro del calcio spagnolo. L’ultima grande epoca prima della crisi di risultati vissuta nell’ultimo decennio, con una sola qualificazione oltre gli ottavi (la semifinale di Euro 2020 contro l’Italia) in cinque manifestazioni disputate, senza considerare la Nations League pur vinta pochi giorni or sono. Un declino che forse solo la nuova leva di giovani talenti saprà risollevare. Ma l’era della prima stella sullo stemma federale ha avuto bisogno di una chiara ed accurata strategia per nascere, crescere e trionfare.
LA SVOLTA SAENZ – Dopo decenni di insuccessi in campo intercontinentale, la svolta per il modus operandi della Federcalcio spagnola avvenne nel 1995, con l’inserimento di Inaki Saenz all’interno dei ranghi del settore giovanile. Il tecnico basco, ben consapevole di quanto pochi anni prima si stava creando dall’altra parte dei Pirenei, cominciò ad organizzare il lavoro delle selezioni giovanili spagnole sulla falsariga di quello delle squadre di club. Un metodo che venne poi perfezionato dal suo successore, l’ex difensore del Real Madrid Fernando Hierro, a cui va dato il merito di aver completato l’opera, avendo portato la Spagna sul tetto del mondo nell’estate del 2010. Programmazione, infrastrutture, organizzazione: sono queste le parole d’ordine all’interno del settore giovanile della Federcalcio iberica. La gerarchia delle competizioni giovanili è ben definita affinché nessun talento sfugga al radar degli osservatori federali. In ogni regione, infatti, ci sono ben 4 livelli differenti di campionati giovanili per ciascuna categoria di età: ciò vuol dire che, ogni fine settimana, ci sono migliaia di gare su tutto il territorio nazionale, nella quale scendono in campo migliaia di ragazzi, seguiti da un numero altrettanto corposo di osservatori che si occupano della loro formazione.
L’ORGANIZZAZIONE GIOVANILE - In Spagna esistono sette sottodivisioni, che in ordine decrescente di età sono: juvenil di terzo anno (fino a 19 anni), juvenil (fino a 18 anni), cadete (fino a 16 anni), infantil (fino a 14 anni), alevìn (fino a 12 anni), benjamìn (fino a 10 anni) e pre-benjamìn (fino a 8 anni). Nel momento in cui un giovane calciatore di uno dei campionati regionali di appartenenza riesce a farsi notare, viene immediatamente segnalato alla Federcalcio spagnola da una capillare rete di osservatori presenti sul territorio e dipendenti dalle stesse federazioni regionali. Ciò fa sì che la RFEF abbia a disposizione un grande database sui migliori talenti in circolazione nel paese, divisi per ruolo, attitudini e capacità. La selezione del talento è quindi un processo di primaria importanza. Il futuro top player va individuato in base a tre elementi fondamentali: personalità, intelligenza e tecnica. Per la tattica ci sarà tempo nel percorso di crescita. Ma nell’ottica dell’organizzazione del settore, diventa fondamentale la collaborazione con i club nei quali i talenti crescono. La Federazione, infatti, ha il compito di completare il processo educativo che i ragazzi intraprendono nelle squadre di cui fanno parte. Questo mutuo aiuto con i club permette un’espansione sempre maggiore della filosofia di base dei settori giovanili spagnoli, ovvero il costante miglioramento grazie al superamento di sfide ed ostacoli sempre maggiori. Il club coltiva il talento, la Federazione perfeziona il processo di maturazione, grazie alla disputa delle competizioni internazionali con la maglia delle selezioni giovanili. Una sinergia, frutto di uno scambio di informazioni capillare e continuo sui giovani più promettenti, che permette di arricchire il panorama iberico di nuovi calciatori. Controllo, scouting e formazione devono essere quindi costantemente ad un livello elevato. Ed è per questo – dando un occhio ai vicini francesi ed al modello di Clairefontaine – che anche la Spagna coltivò l’idea di dotarsi di un proprio centro sportivo federale.
LA NASCITA DI LAS ROZAS – Torniamo a quel 1995 e ad Inaki Saenz. L’anno e la persona clou di questo nostro racconto. É proprio a metà dello scorso secolo che il tecnico basco decise che anche la Spagna aveva bisogno della propria Clairefontaine. 8 anni di lavoro e un investimento di circa 46 milioni dopo, nacque la Ciudad de Futbol de Las Rozas, il complesso sportivo e amministrativo di proprietà della Real Federaciòn Española de Futbol, inaugurato il 12 maggio 2003 dall'allora presidente RFEF Ángel María Villar e dal sindaco di Rozeño Bonifacio de Santiago. Il centro federale si trova, appunto, nel comune di Las Rozas de Madrid, all'interno della comunità della capitale iberica. Basata sull'idea dell'architetto spagnolo Gerardo Ayala, la Ciudad del Fútbol è costruita su un'area di 12 ettari e integra l'edificio della sede della federazione e le sue strutture sportive. Il complesso si espande su una superficie di 120mila metri quadrati, dotata di quattro campi da calcio (due in erba naturale, con tribune e pista di atletica annessa, uno artificiale e uno misto), un padiglione coperto, residenza per i giocatori, centro medico e un edificio apposito per gli uffici, oltre all'auditorium che, grazie ad una capacità di 380 persone, viene utilizzato per corsi, seminari ed assemblee varie, ed al Museo Nazionale del Calcio, contenente oggetti, fotografie e documenti appartenenti alla storia di questo sport. Ma entriamo più nel dettaglio. Il complesso è destinato a qualsiasi attività che abbia a che fare con il calcio. L'edificio amministrativo è suddiviso in quattro aree distinte: una sportiva, un'altra di marketing e pubbliche relazioni, una terza dedicata alle infrastrutture e l'ultima prettamente amministrativa. Di fronte alla sede, è situato uno dei quattro campi, che dispone di una tribuna con una capacità di circa 1.300 persone e erba naturale, oltre a una pista di atletica, utilizzata per i test fisici degli atleti e degli arbtri, otto strade e misure approvate dalla FIFA. Adiacente ad esso, si trova l'unico dei quattro campi in erba sintetica. Affianco ai campi, otto spogliatoi, di cui uno collegato a una sala da massaggi, una palestra adatta anche per la riabilitazione e il recupero (tramite l'idroterapia) ed infine una sala video e una residenza composta da quattro blocchi di dodici camere ciascuno e 45 metri quadrati per stanza. I quattro blocchi sono collegati da una lobby nella parte inferiore, dove i giocatori possono utilizzare servizi come la caffetteria o il ristorante, oltre ad avere le tre sale per il tempo libero che ogni blocco ha. Ma non finisce qui. La federazione ha anche costruito un centro medico specializzato in medicina dello sport. Si tratta di un edificio di tre piani, dove la maggior parte di essi è destinata agli uffici e alle consultazioni dei vari specialisti. Ogni dettaglio curato alla perfezione. Un centro d'allenamento permamente, una vera città del calcio, pronta a coprire le esigenze dei propri professionisti. Un modello che ha permesso al calcio spagnolo di innalzare il livello.
I DATI DELLA RINASCITA – Guidati da Barcellona, Real Madrid, Siviglia, ma anche Atletico Madrid e Villarreal, i club spagnoli hanno raggiunto la cima del calcio europeo, costellando il firmamento iberico di numerosi successi. Successi di cui la nazionale ha beneficiato tra la fine del primo e l'inizio del secondo decennio di questo secolo, inanellando tre vittorie di assoluto livello: due Europei ed una Coppa del Mondo. Il modello spagnolo ha quindi fruttato le varie affermazioni nella scena internazionale, diventando uno dei punti di riferimenti in tutta Europa. Ma andiamo a snocciolare qualche dato. Partiamo dalle basi. La costruzione del talento in casa, alla lunga, ha pagato, generando gli effetti sperati a metà degli anni '90. Non sorprende che quindi, negli ultimi anni, praticamente il 25% dei calciatori presenti nelle rose spagnole sia cresciuto nel vivaio delle rispettive società. La più alta percentuale tra le 5 grandi leghe europee. Giovani talenti che, non solo crescono, ma giocano ad alto livello: un minutaggio (più del 20% del totale dei minuti) sensibilmente più alto rispetto agli altri cinque maggiori tornei. Impiego vantaggioso anche sul lato economico, visto il minor ingaggio solitamente percepito e la possibilità di esportare questo talento al di fuori della stessa Spagna, arricchendo le casse delle società proprietarie dei cartellini. In ultimo – ma non meno fondamentale – la penisola iberica propone realmente la possibilità ai suoi giovani talenti di disputare il massimo campionato spagnolo. Negli ultimi 10 anni, la media dei debuttanti per ogni squadra si aggira intorno ai 4 calciatori. Esordienti, debuttanti che hanno spazio per scendere in campo e mostrare di che pasta sono fatti. La conclusione che se ne trae? La Spagna ha ritrovato la retta via grazie a una precisa strategia sui settori giovanili - oltre alla nascita di un centro federale attento alle metodologie di formazione e di valorizzazione del talento peninsulare - che ha permesso una maggiore uniformità culturale, fattore decisivo per plasmare e club vincenti negli anni. Ma sarebbe giusto fermarsi ai soli trofei per valutare l'operato della Federcalcio delle Furie Rosse?
QUESTIONE DI FILOSOFIA: ARRIVA IL TIKI TAKA – La risposta è chiaramente no. Perché la Spagna si è imposta anche se non soprattutto grazie al proprio stile di gioco, alla propria filosofia. Più di qualcuno ha voluto definirla Tiki Taka - riferendosi in realtà al gioco del Barcellona di Guardiola prima che a quello della Roja - ma che di fatto è un’evoluzione del Calcio Totale che la nazionale olandese degli anni ’70 aveva partorito e reso noto in tutto il mondo. L’anello di congiunzione tra queste due esperienze calcistiche nazionali ha un nome ed un cognome, non a caso olandesi: Johan Crujiff. Trasferitosi a Barcellona dopo aver vinto tutto con la maglia dell'Ajax, il Pelè bianco, più che da giocatore, lascerà la sua impronta da allenatore, seminando quei principi di gioco tipici del calcio olandese degli anni '70 e costruendo quella mentalità inconfondibile spagnola, marchio di fabbrica del modo di intendere, allenare e giocare a calcio in Spagna. Di fatto, il Tiki Taka eredita ed evolve il Calcio Totale, differenziandosene principalmente perché basato sui continui movimenti rasoterra del pallone, piuttosto che sui giocatori in sé. Tanto possesso palla quindi: una ragnatela fitta e continua di passaggi, un gioco quasi ipnotico, condotto con estrema calma, fino al momento in cui l’avversario concederà un'occasione per verticalizzare e finalizzare l'avvolgente manovra. Un metodo che ha di gran lunga superato il resultadismo tipico del nostro Paese e che ha sfornato una serie di campioni in tutta la nazione: da Sergio Ramos a Siviglia, fino a Isco nel Malaga, passando per Asensio nell'Espanyol, Jordi Alba nel Valencia e Piqué nel Saragozza. Ma è chiaro che il filo conduttore del talento si distribuisca tra due città specifiche: Madrid, con il suo centro federale, e Barcellona, con la sua cantera e la sua Masia.
LA CATALOGNA INSEGNA: IL MODELLO DELLA MASIA – Se fino ad ora abbiamo evidenziato l'immenso lavoro della Federcalcio spagnola nella creazione e coltivazione di giovani e talentuosi calciatori, è chiaro che vada portato alla luce anche il modello della società blaugrana, basata sul proprio vivaio, la sua cantera. Un modello permeato dai cambiamenti imposti da Crujiff – per snocciolare un dato: sono 32 (anche più dei 28 di Guardiola) i giocatori del vivaio fatti esordire dal profeta del Calcio Totale - il vero rivoluzionario del pensiero della squadra catalana. L'ex Ajax cominciò a prendersi cura direttamente delle selezioni giovanili a sua disposizione, responsabilizzandole ed introducendo il concetto della filosofia comune: stesso modulo per tutte le squadre del settore giovanile, focus sulle posizioni ed i movimenti necessari all'equilibrio della formazione in campo, possesso palla quasi maniacale. Queste sono le chiavi per far crescere un giovane e facilitare il suo ingresso in prima squadra, dove ritroverà gli stessi schemi attuati lungo tutto il suo percorso di formazione. Un lavoro cominciato dall'olandese, glorificato da Pep Guardiola e – dopo alcuni anni di profondo buio - ripreso ora da Xavi. Ma parlando di Masia, è giusto definirne contesto e contorni. La Masia è un edificio di 601 metri quadrati costruito nel 1702 che venne ristrutturato ed adibito a sede sociale del club in occasione della costruzione del vicino stadio Camp Nou, inaugurato nel 1957. Nel 1979, divenne la casa delle giovanili del Barcellona, la residenza dei giovani calciatori prescelti dal club grazie al lavoro del presidente Josep Luiz Nunez. Al suo interno, la Masia ospita circa 60 residenti oltre che moltissimi posti letto per le centinaia di giovani talenti che, a partire dai 6 anni, vengono selezionati dai sapienti osservatori catalani e catapultati in un luogo che trasuda storia e tradizione azulgrana. Una volta giunti alla Masia, bisogna imparare in fretta che l’educazione rappresenta una componente primaria. La giornata di un giovane calciatore blaugrana, infatti, inizia la mattina presto con la scuola, prosegue con il riposo dopo pranzo, chiudendosi con la sessione pomeridiana di allenamento e con un paio d’ore di svago nella sale giochi della struttura, dopo cena, prima di dormire. Dopo il pranzo e un po’ di riposo, la giornata prosegue con gli allenamenti. I ragazzi della cantera sono seguiti da uno staff che, nel suo organico, comprende dei tutor che aiutano i ragazzi nei compiti scolastici oltre a numerosi medici, cuochi, sanitari, preparatori atletici ed allenatori. Un'organizzazione che ha dato alla luce giocatori di classe assoluta come Xavi, Iniesta, Busquets fino ad arrivare ad Ansu Fati, Pedri e Gavi, passando per uno dei più grandi di sempre come Lionel Messi – argentino di nascita ma allevato, sin dalla tenera età, dal sistema calcistico spagnolo. Modelli, correnti di pensiero a confronto che, tuttavia, hanno generato una delle più grandi generazioni che il mondo del calcio abbia saputo far nascere.
Luis De la Fuente, nuovo allenatore della Spagna dopo l'addio a Luis Enrique, ha guidato le Furie Rosse anche nelle selezioni giovanili in passato. Sembra proprio lui l'uomo giusto per il rilancio.