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    La crisi del 10: da numero del talento a fantasma, è sparito in Serie A

    La crisi del 10: da numero del talento a fantasma, è sparito in Serie A

    • Matteo Serra
    Ci sono leggi nel calcio che non sono scritte, ma sono universali e da tutti riconosciute. Una è senza dubbio legata alla simbologia dei numeri; la cifra dall'1 all'11 incollata sulla maglia fornisce indizi ben precisi sulle qualità di chi la porta. Che si abbia 6 o 60 anni, prima di iniziare una partita si cerca subito di individuare chi, tra gli avversari, indossi la maglia numero 10, perché è a questo numero che si attribuisce la fantasia, l'estro, il talento nella sua più pura versione. Negli anni però questo numero ha cambiato posizione e caratteristiche in campo, venendo accostato anche a giocatori non proprio interpreti del bel calcio. Questo ne ha mutato il DNA e ad oggi le principali squadre italiane sono prive di un vero e proprio numero 10 in campo. 

    LA NASCITA - La genesi del numero 10 ha una data ben precisa: 28 giugno 1958, finale dei Mondiali in Svezia. Il Brasile diventa campione del mondo per la prima volta trascinato dai gol di un 18enne che risponde al nome di Edson Arantes do Nascimento, per tutti Pelé. Gioca con la maglia numero 10 e da quel momento quello diventa il suo numero, la cifra simbolo del talento nel mondo. Prima era un numero come gli altri, da quel giorno diventa il 10 di Pelé, l'incarnazione del bel calcio. Da quel 1958 il 10 è stato il numero che tutti i bambini sognano di indossare perché porta con sè una autocertificazione del talento. E' il numero che è stato di Maradona, Platini, Totti e Del Piero, solo per restare in Italia; è il numero che indica il trascinatore tecnico della squadra, l'uomo chiamato a risolvere con il suo talento divino anche le grane più complicate. Questi suoi grandi interpreti, uniti all'evoluzione del calcio, hanno però creato una sorta di sortilegio attorno a questo numero. 

    IL CALCIO EVOLUTO - Con il netto aumentare del ritmo di gioco nelle partite, si è sempre più ridotto lo spazio per quei giocatori lenti di gambe ma veloci di pensiero. Gli allenatori prediligono giocatori che sappiano dare un continuo dinamismo nelle due fasi di gioco, anche a costo di pagare a livello qualitativo. Così il livello calcistico di chi ha indossato la numero 10 si è abbassato, facendo aumentare, per proporzione inversa, la pressione e le richieste su quelli che, per qualità calcistiche, possono pensare di indossarla. E così, ad oggi, nessuna delle big italiane ha un 10 degno della sua tradizione. Nella Juventus, dopo l'addio di Del Piero, la 10 è stata di Tevez e Pogba e adesso nessuno si sente di indossarla, né Bernardeschi (forse meglio così) né Dybala, che avrebbe invece tutte le caratteristiche per farlo. A Napoli e a Roma la 10 vuol dire Maradona e Totti, i due migliori calciatori della storia dei due club, cosa che rende quasi impossibile anche solo pensare di potersi paragonare a loro. A Milano invece il 10 viene da stagioni di crisi: al Milan, dopo Rui Costa e Seedorf, la 10 non ha avuto degni eredi e oggi è sulle spalle di Calhanoglu, giocatore appena arrivato e ancora tutto da vedere; in casa Inter non ha un padrone da tempo, da quando l'ha indossata Wesley Sneijder e oggi sembra essere di proprietà di Joao Mario, qualità e soprattutto personalità ben diverse rispetto ai giocatori del passato. Alla Fiorentina, Bernardeschi la portava con il giusto ardore, ma dopo l'addio verso la Juventus il suo erede designato, Saponara, ha detto di non sentirsela di assumersi questa responsabilità. E' proprio responsabilità la parola chiave: portare la 10 vuol dire prendersi carico delle sorti della squadra. Ad oggi sembra essere un peso eccessivo, che molti giocatori preferiscono non affrontare per evitare le critiche che prestazioni non all'altezza possono generare. Da essere un elemento imprescindibile, senza il quale non si può scendere in campo, il numero 10 è diventato un accessorio, a volte una pesante zavorra. Una modifica che va a toccare il calcio nella sua anima, dato che nasce prima di tutto per far sognare, per far sì che ci si possa immedesimare nelle giocate più belle, che hanno come artefice sempre un atleta con i calzettoni abbassati e la dieci sulle spalle. 


    @MattSerra5

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