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L'Italia e Jorginho: Ventura, era ora, con gli oriundi c'è aria di Mondiale
IL PRIMO ORIUNDO FU UN ITALOSVIZZERO - Argentini, uruguaiani, brasiliani, certo, ma il primo oriundo nella storia della nostra Nazionale è un giovanotto nato a Milano da padre elvetico, Ermanno Aebi. Come detto, nato a Milano ma cresciuto in Svizzera e avviato al football a Neuchâtel, Aebi nel 1910 viene a giocare in Italia per i nerazzurri dell'Internazionale, giusto in tempo per vincere il titolo di campione d'Italia e quindi rimanervi per ben dodici anni. Giocatore dall'indubbio talento, interno con il “vizio” del goal, Aebi si caratterizza per la sua estrema eleganza nelle giocate, tanto che ben presto gli viene incollato il soprannome di “signorina”. Partecipa alla tragedia della prima guerra mondiale arruolato nell'esercito italiano e nel 1920 fa il suo esordio con la Nazionale. In Azzurro giocherà due partite, tutte nel 1920: l'esordio, scintillante, nel vittorioso incontro per 9-4 sulla Francia, nel quale segna ben tre reti, l'ultimo, nello 0-3 subito dalla Svizzera, un paio di mesi più tardi. In quello stesso anno 1920 con le sue 19 reti in 21 partite porta la sua Internazionale alla conquista del secondo titolo di campione d'Italia.
CARTA DI VIAREGGIO E FRONTIERE CHIUSE - Solo pochi anni più tardi, passando però per innumerevoli e tragiche vicende sociali, politiche e sportive, il nuovo regime, che dal 1922 si instaura in Italia e che dal 1925 prende a rivoltare come un calzino le Istituzioni e a imprimere una forte connotazione dittatoriale ad ogni ambito di vita del Paese, mette le mani anche sul calcio. Con il 1926 il Fascismo si impossessa anche del calcio e ne detta le linee guida, tutte – o quasi – racchiuse nella riforma di quell'anno che passa alla storia come “Carta di Viareggio”. Tra le tante disposizioni previste, una in particolare qua ci interessa: la chiusura delle frontiere. La riforma , quale unica “cura” al “male” degli ingaggi sempre più faraonici elargiti spesso con troppa prodigalità ai giocatori stranieri, prevede che dalla stagione1927/28 non si possano più tesserare giocatori provenienti da Federazioni estere. Nel mondo del calcio nostrano serpeggia più che malcontento, un certo timore, timore di non essere più in grado di offrire uno spettacolo all'altezza e si corre ai ripari. Alfio Caruso nel suo Un secolo azzurro dice che fu grazie ad un colloquio tra Agnelli e Mussolini che quest'ultimo acconsentì all'ingaggio dei figli degli italiani emigrati oltre oceano. Il Duce è sensibile al destino dei compatrioti costretti all'esilio, o forse è più sensibile ai desideri di quello che sta diventando il capitano dell'industria italiana più importante, nonché presidente della squadra destinata a diventare il simbolo del calcio italiano, fatto sta che il calcio italiano chiude le frontiere agli stranieri ma le lascia ben spalancate agli oriundi. In realtà l'afflusso di “rimpatriati” rientra bene nell'ideologia fascista della “più grande Italia”, di calciatori – in questo caso – non italiani per nascita che però avevano in loro e riportavano in Italia i più genuini valori nazionali.
IL PRIMO AZZURRO NATO ALL'ESTERO - Da quel momento è caccia aperta ai sudamericani con doppio passaporto o anche con genitori o parenti italiani. Intuito che questi giocatori non solo avrebbero dato lustro al torneo ma avrebbero migliorato il tasso tecnico della Nazionale, tutte le grandi società si impegnano in una corsa all'oriundo, con il benestare della Federazione. Arrivano così in Italia calciatori come Libonatti, Orsi, Cesarini, Monti, Guaita, Fedullo, Petrone e tanti altri. L'italo-argentino Julio Libonatti è il primo giocatore nato all'estero a giocare in Nazionale. Libonatti nasce in Argentina da genitori italiani, si mette in luce nel Newell's Old Boys e nel 1925 viene tesserato dal Torino. Con i granata, assieme a Rossetti e Baloncieri forma un trio d'attacco tra i più eleganti e incisivi del calcio italiano, tanto che il 26 ottobre 1926 Libonatti fa il suo esordio con la Nazionale italiana, dopo che già aveva giocato con l'Argentina, vincendo pure una Copa America nel 1921.
L'ITALIA “ORIUNDA” CAMPIONE DEL MONDO 1934 - L'Italia calcistica intera in quegli anni è presa dalla ricerca dell'oriundo. Tanto che non solo le stelle di prima grandezza che hanno qualche legame di parentela con l'Italia vengono tesserate qua da noi, ma anche i giovani, le – diremmo oggi – promesse vengono catapultate al di qua dell'oceano, svuotando così i vivai sudamericani. La cosa ovviamente non passa inosservata, le Federazioni argentina, brasiliana e dell'Uruguay protestato energicamente, la stampa argentina arriva ad accusare apertamente il regime fascista di essere lui stesso a finanziare quello che non esita a definire un saccheggio, per poter formare una squadra nazionale “a spese del football argentino”. Negli anni'30 il nostro campionato è pieno di giocatori sudamericani dal doppio passaporto. La Nazionale italiana che si laurea campione del Mondo nel 1934 ne è lo specchio, composta com'è da ben 5 oriundi, il brasiliano Guarisi e gli argentini Monti, De Maria, Orsi e Guaita. Inizierà un lungo viaggio, che arriverà fino al 2006 e a un altro campione del Mondo, Mauro German Camoranesi. Ora ci riprova Jorginho.
(Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)