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    Juventus-Inter vista dal campo: Motta empatico come mai. Inzaghi se la prende con la sorte: "Siamo maledetti"

    Juventus-Inter vista dal campo: Motta empatico come mai. Inzaghi se la prende con la sorte: "Siamo maledetti"

    • Davide Bernardi
      Davide Bernardi
    All’80’ di Juventus-Inter, mi è venuta in mente Inter-Fiorentina. Più che altro mi è venuto da chiedermi quanto la vittoria dell’Inter, del lunedì precedente, sia stata testa e quanto gambe. Perché i primi 70’ a San Siro erano stati impressionanti, ma nel finale avevo avuto comunque la sensazione che fisicamente l’Inter non fosse e forse non sia nella propria miglior versione. Tanti acciacchi, un po’ di lingue di fuori, nonostante una vittoria strameritata. E Torino in realtà credo abbia confermato l’impressione.

    Eppure secondo Mkhytarian, la questione non è tattica e nemmeno fisica, ma semplicemente di autostima: la squadra è troppo consapevole della propria forza, ha la convinzione che la partita prima o dopo “arrivi all’Inter”. Solo che due volte nelle ultime tre, la partita ha scelto un’altra strada. Sicuramente la testa una parte importante la gioca, lo dicono i 90’ di Inzaghi a bordocampo. Perché come due anni fa, nel primo tempo, l’Inter a Torino può farne 3, ma già 26 secondi dopo l’inizio del secondo tempo, l’allenatore dell’Inter capisce che l’andazzo non è lo stesso dei primi 45’ e deve già richiamare la squadra all’ordine.

    Non solo, Inzaghi non vede la stessa aggressività, cerca di svegliare i suoi e dopo l’ennesimo errore, che porta a un tiro timido di Conceicao, urla, a voce altissima, forse più a sé stesso che al suo staff: “DEVO CAMBIARE”. Da lì nasce l’idea del triplo cambio e anche l’immagine, diventata velocemente virale, del pantalone che si strappa sulla gamba, all’ennesimo squat di rabbia.

    L’azione del gol vittoria, Inzaghi la vive tutta a braccia alzate, rispettando quel modo tutto proprio di accompagnare da lontano le giocate dei suoi. Ad esempio, nel primo tempo, agita rapidamente la mano sinistra, appena prima che Sommer allontani il tiro del solito Conceicao. L’azione del gol dicevo, l’allenatore dell’Inter la vive tutta a braccia alzate, come a scongiurare un rigore da tocco su Kolo Muani, che in quel momento fa la cosa che meno ti aspetti: la ruleta. Nessuno deve toccare Kolo Muani, il rischio è troppo alto, ma poi quel serpente che è l’attaccante della Juve, riesce a far arrivare la palla a Conceicao, che la mette in porta. Lì e solo lì, Inzaghi abbassa le braccia. 

    Questa azione è la porta che separa Inzaghi e Thiago Motta, perché mentre l’interista, a Calhanoglu grida “è fallo su di te”, quasi a esortare un colloquio con Mariani, l’allenatore della Juve invece, lo si vede come non lo si è mai visto quest’anno: esulta in salto e una volta atterrato chiede a tutto lo stadio di aumentare il rumore.

    In generale, anche nel primo tempo, Thiago Motta è sembrato emotivamente più partecipativo del solito, lui che rispetto ad Inzaghi o Conte, nei 90’ è quasi sempre più pacato, più riflessivo, spesso con le mani in tasca o accovacciato sulle ginocchia. Siamo chiari: non è stato il Thiago Motta che nel 4-4 dell’andata, appena prima dell’ingresso di Thuram, gli urla: “E’ il cuore che manca”. No non è stato quella roba lì, però è un Thiago Motta che se deve, contesta due rimesse a Bastoni e Lautaro. Il difensore si mette a ridere, l’attaccante lo allontana con una mezza manata, anche per via del risultato: mancava pochissimo.

    Considerato quanto la parola empatia sia circolata in questi mesi a Torino, forse la cena offerta in settimana, dall’allenatore a tutta la squadra, è un gesto che può aver aiutato. Perché la Juve che si prende la quarta vittoria consecutiva è la Juve anche di Perin, che a fine partita, come sempre, canta l’inno bianconero. È la Juve di Mckennie e Gatti, ieri capitano e vice, che dalla gioia si strattonano per il colletto della maglia ed è la Juve di Conceicao, che regala a un piccolo tifoso la maglia del suo gol all’Inter.

    Dall’altra parte invece, rimane la consapevolezza che comunque, qualcosa da sistemare ci sia, forse anche con la sorte. Lo crede per primo Inzaghi, che dopo l’ultima occasione di Thuram, ripensando al palo di Dumfries del primo tempo, si lascia scappare e ripete più volte: “maledetti, siamo maledetti”. E che qualcosa non funzioni, lo crede anche Lautaro che lascia il campo imbestialito, spinto prima dal suo allenatore a salutare i propri tifosi.

    L’anello di congiunzione, l’ultima immagine è l’abbraccio dei fratelli Thuram, che si erano salutati prima della partita e che a modo loro, l’avevano fatto anche durante, quando Markus, entrando, era andato a dare a Kephren un colpetto alla schiena. Ecco l’Inter poteva dare un colpo al campionato, ha dato forse una spinta all’autostima della Juve.
     

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    alpi65
    alpi65

    E vero siamo maledetti!

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