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    Juventus, comunque vada è ora di cambiare: la Coppa Italia non salverebbe né Allegri né la stagione

    Juventus, comunque vada è ora di cambiare: la Coppa Italia non salverebbe né Allegri né la stagione

    • Simone Eterno
      Simone Eterno
    No, la Coppa Italia non salverebbe la stagione della Juventus. Così, cristallino, senza prese in giro o giri di parole. Di quelle, in casa bianconera, ce ne sono state anche troppe. Coloro che non soffrono della sindrome da pesce rosso – disagio purtroppo particolarmente diffuso alle nostre latitudini – di certo lo ricorderanno. Gli obiettivi della Juve, in estate, a parole, erano altri. Così come del resto lo erano quelli dell’Allegri-bis. Se volete, poi, certo, ci sono le dichiarazioni di oggi; le prese di posizione – di facciata, più che altro. Quelle per provare a salvare il salvabile. Anche se di salvabile, oggettivamente, non c’è poi molto.

    Se sarà Champions League – ‘se’, perché calendario e prestazioni alla mano è tutt’altro che scontato – allora sarà ‘la pezza’ che tutti aspettavano. Allegri centra l’obiettivo minimo e la Juventus ottiene ciò che ormai più le interessa: dare respiro al bilancio in ottica futura. Il resto, è ‘fuffa’. Altre, comprensibilmente, erano state le premesse, per un trofeo appunto che non cambia di una virgola la valutazione della stagione. Della Juve e della sua avversaria, tra l’altro, a pensarci bene. Perché se è vero che ad Allegri non basterà ‘la coppetta’ per salvarsi, a Gasperini non servirà ‘la coppetta’ per valutare il peso specifico di un lavoro già oggi enorme, anzi colossale; e certamente impensabile quando arrivò a Bergamo. Ma di questo avremo modo di approfondire più avanti.

    Una partita – quella del 15 maggio all’Olimpico – che si attesta più che altro come la classica ‘ciliegina sulla torta’: di Allegri, per rendere meno amaro un addio che pare scontato; di Gasperini, per coronare appunto un percorso la cui valutazione non passa certo dalla vittoria di un trofeo - non per chi ha semplicemente trasformato la realtà di un club: da società con obiettivi di permanenza in Serie A a una delle migliori realtà italiane in campo internazionale – se non probabilmente la migliore in assoluto per costanza dal 2019/20 in poi.

    Messi i cosiddetti ‘puntini sulle i’, si può passare al resto. E ‘il resto’ dice che per la Juventus la valutazione si farà dal punto di vista del campionato. Sì perché ormai è diventato inevitabile guardarsi le spalle da concorrenti che fiato corto o meno, sono ormai a ridosso dei bianconeri. Impensabile per chi fino a gennaio aveva fatto corsa alla pari con l’Inter; ma oggi semplice realtà delle cose. Perché non solo dietro fanno punti e vanno meglio della Juve – chi più, chi meno – ma alla Continassa si deve provare a resistere a quello che dati alla mano è stato uno dei peggiori gironi di ritorno della storia del club.

    Ne scriveva OPTA qualche giorno fa: nella storia del campionato a tre punti solo la sciagurata stagione 2009/2010, quella del non certo indimenticabile binomio tecnico Ferrara-Zaccheroni – e dell’altrettanto non indimenticabile gestione societaria Jean Claude Blanc + Cobolli Gigli, registrò una media punti peggiore di questa Juve (1.16 contro gli 1.27 odierni dati da 19 punti in 15 partite). Il gioco di prestigio – o il fumo negli occhi, come preferite – è stato casomai nel girone d’andata. Overperformance, direbbero gli anglosassoni. ‘Raccolto più di quanto effettivamente seminato’, direbbe semplicemente nonno Gino.

    Di partite da catalogare qui dentro, per chi ha voglia di togliersi la maglietta e mettere da parte le lenti da tifoso, ce ne sono quasi una decina. Andando con ordine, si parte dal sofferto Juventus-Lecce 1-0 e si passa per il fortunoso Milan-Juventus 0-1 deciso da un tiro da fuori deviato; e poi Juventus- Verona 1-0, Fiorentina-Juventus 0-1, Juventus-Cagliari 2-1, Monza-Juventus 1-2 in pieno recupero, Frosinone-Juventus 1-2 in pieno recupero, Salernitana-Juventus 1-2 ancora al 90°; fino al più recente Juventus-Frosinone 3-2 all’ultimo secondo di partita. Sono una quantità di punti abnormi.

    Un filotto infinito di risultati (in particolare fino al Frosinone-Juventus del 23 dicembre deciso da Vlahovic nel finale) in cui a reti unificate - o quasi - si è esaltato “lo spirito Juve”, “il grande cuore”, “il gruppo” o “la compattezza”. Tutto vero. Se oltre a questo ci fosse stata la lucidità di soffermarsi, come sempre, sul tallone d’Achille dell’allegrismo: la qualità della proposta offensiva; che non a caso vede a oggi i bianconeri come l’ottavo attacco del campionato (tra le prime 9 in classifica peggio solo la Lazio). E così è bastato il pizzicotto di San Siro per far crollare i sogni di chi si stava beando sì, ma in un sonno leggero; per un risveglio brusco in una realtà dei fatti che ci racconta di due partite vinte dal 27 gennaio a oggi - il rocambolesco 3-2 col Frosinone deciso da Rugani sul triplice fischio e Juventus-Fiorentina 1-0. Un filotto negativo che ha portato/sta portando al fuggi-fuggi generale dal ‘carro di Allegri’, il cui ultimo baluardo rimane l’amico Galeone, gli ultras e qualche collega ‘in trincea’.

    Ecco, anche qui, a essere onesti, l’altro l’inganno: la Juventus è stata innanzitutto raccontata male. Una narrazione superficiale, dove il peso del risultato ha troppo spesso fatto passare in secondo piano, appunto, le reali ‘performance’.

    E se con “il risultato” si è deciso di misurare la stagione della Juve, con il solo risultato si dovrà convivere fino alla fine. Troppo comodo, sennò, oggi, cambiare le carte in tavola, modificando il metro di valutazione, specialmente per chi si scrive ‘vincere è l’unica cosa che conta’ all’interno della maglietta. Parlare, come sentiamo oggi, di “crescita” (quale?) e di “basi per il futuro” (quali?), ha una definizione in italiano: paraculaggine. Poco elegante, ma rende l’idea.

    Ecco, appunto, allora, che non sarà il trofeo in palio a Roma ‘quel’ risultato a salvare baracca e burattini, a far parlare di “altro titolo in bacheca”; bensì il ‘benedetto’ terzo/quarto/quinto posto che vorrà dire Champions League. Non potrebbe essere altrimenti per chi ad agosto affermava – giustamente – che “alla Juventus si parte sempre per vincere”. Oltre a questo, il finale di stagione, può infine contribuire a spostare qualche pesetto sulla bilancia della valutazione dei singoli.

    Su tutte infatti c’è già una domanda per le settimane a venire. Che ne sarà dei vari Chiesa, Kean e Milik? Un fronte offensivo che sarà tema estivo, ma che è tema anche del presente. Quali di questi farà parte della Juve del futuro, anche a fronte di un bilancio – di nuovo – che inevitabilmente non potrà prevedere investimenti folli/clamorosi stravolgimenti? Ecco, cinque partite (4+1) non sono ovviamente discriminante pura alle scelte estive, ma possono certamente lanciare indicazioni su chi sia degno – visto quanto in palio in questo sprint finale – di far parte del ‘nuovo ciclo’. Perché di quello – ormai è chiaro a (quasi) tutti – avrà bisogno la Juventus: ripartire. Con nuove idee, nuova linfa e con qualcosa di diverso da quanto ormai va avanti da quasi un decennio.

    Perché da questa filosofia si è estratto veramente tutto. E una coppa in più o in meno, per davvero, non può più cambiare le cose.

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