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Juve Women, beffa finale con il Lione: ma questo 2-3 resta una lezione per tutto il movimento
ZERO DISTANZA - Tutt'altro: le ragazze di Guarino hanno saputo riscoprirsi ancora, scrivere una pagina fondamentale della loro storia. Con una sconfitta? Sì, con una sconfitta. Contro le più forti d'Europa, dopo appena quattro anni dalla fondazione eppure indiscutibilmente da traino di un movimento che continua a crescere e può solo proseguire in questa direzione. Il palcoscenico dello Stadium non ha intimorito nessuno, nemmeno le francesi. Al primo minuto, il grande intervento di Giuliani aveva già definito il carattere di questa partita: c'era da soffrire e compattarsi per le bianconere, non per questo nascondere il proprio talento. L'ha fatto Hurtig su tutte, ed è sembrata il quid che la Juventus cercava da tempo specialmente per le campagne d'Europa. Impavida e senza barriere reverenziali, in grado di reggere il ritmo furbescamente imposto dalle francesi che di benzina e qualità viaggiano decisamente al doppio. Doppio che s'è fatto mezzo sulla prima giocata della svedese, in grado di sovrastare le avversarie e i facili pronostici con un gol ben costruito e finalizzato in maniera quasi rude, con un colpo di testa forte su smarcamento rude e smanacciato.
ENTUSIASMO - Era solo il diciassettesimo e la Juve già iniziava a tirare i primi sospiri, soffi di adrenalina da impresa complessa e incredibilmente alla portata. Sulle ali dell'entusiasmo, l'intervento di Bonansea a sporcare l'azione delle avversarie è stato il primo segnale di ingenuità e vertigini da sfida ad alta quota: sarebbe pure un fallo giusto, in realtà, ma la direttrice di gara Hussein vede l'intervento in area e concede a Renard un regalo di Natale anticipato. Sembra finita e invece è solo l'inizio della lotta: le ragazze di Guarino, oltre alle solite geometrie, iniziano ad aggiungere qua e là nuove consapevolezze. Buchanan buca l'intervento di Hurtig e riequilibra il karma dello Stadium. Poi arriva il ciclone Malard: gol, assist e un talento sconfinato. Nel finale, quando le scorie del ritmo e del cuore iniziano a giocare con il cronometro, Kumagai è una sentenza troppo dura. Che dà dolore, ma non delusione. Che si lega alla legge del più forte, ma non cancella gli insegnamenti arrivati allo Stadium. La Juve si è sciolta nel finale dopo aver giocato d'intensità con le più forti. Quattro anni fa, Agnelli e Braghin, l'avrebbero mai pensato?