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Juve, se un Dio la guarda...
C’è Yuri Chechi, trovato per caso in una palestra, Del Piero appena uscito dalle tenebre dell’ infortunio che poteva costargli la carriera, oppure la prima surfista del mondo travolta da un amore mai consumato per il grande Duke Kahanamoku, re hawaiano della tavola e campione olimpionico di nuoto del primo Novecento…
Il Dio (siamo nell’ ambito del politeismo) dello sport guarda tutti quelli che la mirabile scrittura di Veronesi ritrae: la statunitense Tonia Harding, prima “pornopattrice della storia” oppure Dino Zoff, capace di parare tutto sul campo e di assorbire tutto, soprattutto le ingiustizie, nella vita. La vicenda di ogni personaggio diventa il tragitto di un destino, che conosce quasi sempre l’apice e poi la caduta oppure non conosce mai il successo. Ci arriva vicino, ne sente il profumo, ma non partecipa al banchetto come nel bellissimo Numero dodici, celebrazione del portiere di riserva, eterno secondo, che “è l’unico, di tutta la rosa, ad aver firmato un contratto con la certezza di non avere speranza di giocare, poiché è l’unico cui l’allenatore non abbia detto che la stagione è lunga e perciò ci sarà spazio per tutti”. Piloni “fotografato in tuta blu aeronautico vicino a Zoff immortala il destino di tutti i secondi portieri del mondo, che hanno sentito le sirene cantare, ma purtroppo non cantavano per loro.”
Veronesi è un calciofilo e uno juventino dichiarato. Il calcio, per lui come per molti di noi, è quella cosa che l’ha fatto uscire dalle tristezze dell’ infanzia; la Juve un amore appassionato e “soprattutto cieco”. Ai difensori della Juventus Veronesi dedica un racconto bellissimo: “ancora oggi mi si scalda in cuore a sentir pronunciare i nomi di Gori, di Caricola, di Storgato, di Longobucco”. Di Claudio Gentile scrive: “Caro Claudio Gentile (virgola) quando mi sento debole (virgola) vulnerabile (virgola) e inferiore a qualcuno (virgola) io penso a lei (punto) E mi passa (punto). E di Montero: “Egli non odiava, era odiato. Non retrocedeva, faceva retrocedere. Non dimenticava, non sarà dimenticato”. Per finire con Gaetano Scirea: “Ecco, appunto. E piangere”.
Sia che scriva dei suoi idoli, sia che ricordi Federer o Michael Jordan, Veronesi parla anche di sé, proietta in queste figure mitiche del nostro presente (il calcio e lo sport in genere hanno acquisito e tradotto il potere del mito greco) stati d’animo, premonizioni, aspettative e delusioni. Come ha ben scritto Antonio D’Orrico su “Sette”, stila una specie di autobiografia per interposta persona, cioè attraverso figure più o meno leggendarie.
L’intreccio di slancio e passione, ironia e malinconia lega ogni storia di questa galleria di uomini di sport. Dall’ amato Federer ( che sarà del tennis, quando smettera? “E soprattutto cosa faremo noi?”) al paracadutista Patrick de Gayardon, quello di No Limits, il quale “faceva una cosa che solo i grandi uomini sanno fare: sognava in proprio”, fino all’inaspettato gol di Burnich in Italia-Germania 4-3, che con medesimi tratti epici, Brera così dipingeva : “Le troiane porte scee e la porta di Mayer si confondono nel cervello di tutti.” Potente e malinconico l’incontro di boxe per il titolo europeo dei massimi leggeri a Roma. Il clou è Cantatore contro Abdul, numero 108 della classifica, ma la serata non decolla. C’è poca gente, i match di contorno non scaldano l’ambiente, Califano non tradisce, però tutto il resto è noia. Un Cantatore neghittoso affronta il suo avversario carneade rimediato all’ ultimo, ma mena a vuoto fra qualche urlo rilanciato dall’ eco, nel mezzo deserto del Palazzetto dello sport. Poi vince il nostro ai punti, tra la sparuta soddisfazione di pochi. Così cala il sipario sulla nobile arte.
Alla Juve, Veronesi dedica pagine memorabili, da Furino a Sousa, a Lippi e Zoff…. La Juve per lui non è una squadra, ma una “fidanzata, anzi sposa” e forse qualcosa in più: una regione del cuore da cui si parte con slancio o si ritorna come in un rifugio dopo giorni bui.