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    Juve-Bologna: la compensazione di Di Bello dimostra che chi è condizionato non può fare l’arbitro

    Juve-Bologna: la compensazione di Di Bello dimostra che chi è condizionato non può fare l’arbitro

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Se, come ha riportato il Corriere dello Sport, l’arbitro Di Bello ha detto a Di Vaio, direttore sportivo del Bologna, di non aver fischiato il rigore ai rossoblù perché non ne aveva concesso, nel primo tempo, uno allo juventino Chiesa, siamo di fronte ad un grave problema arbitrale.

    In primo luogo, perché non si è arbitri, e non si può essere giudici, se si applica il criterio della compensazione, ragione per cui Di Bello andrebbe fermato lungamente al di là degli errori tecnici commessi. In secondo luogo, perché è assolutamente certo, ma non meno disdicevole, che gli arbitri, nell’intervallo e, chissà, magari anche durante la partita, vengano informati sui fatti più controversi giudicati pochi minuti prima.

    Empoli - Juventus (20:45 03/09)
    In pratica, tra il primo e il secondo tempo, sul loro cellulare arrivano notizie e notifiche sul mancato rigore, sul fallo non visto, su quello giudicato in maniera eccessiva e via dicendo. Chi gli scriva non si sa (non vorrei che fossero gli stessi organi tecnici: sarebbe gravissimo!), di sicuro c’è che le notizie arrivano e, come nel caso di specie, se uno ha sbagliato in un senso si sente in dovere di “rimediare”, omettendo o intervenendo in senso opposto.

    Fuori dal linguaggio felpato: Di Bello non ha dato il rigore al Bologna perché ha voluto compensare un rigore non dato a Chiesa. La compensazione è il prodotto del condizionamento e il condizionamento fa più danni dell’inadeguatezza. Un arbitro può essere scarso, ma sempre in buona fede. Uno condizionato no. E lo si è visto domenica.

    Ora tutti dicono che, se il nodo gordiano fosse il telefonino, basterebbe che tutti gli ufficiali di gara (dagli arbitri agli assistenti, dal quarto uomo fino agli addetti al Var) spegnessero i cellulari e si dedicassero solo alla partita. Ovviamente si tratta di una pia illusione: anche ammettendo che fosse realmente possibile, credete davvero che un arbitro non verrebbe informato comunque dell’errore commesso?

    Il problema, dunque, non è l’errore, ma la sua continuazione, magari a danno della squadra avversaria. E qui, entra in ballo, la buonafede. Non bisogna essere corrotti per essere in malafede, basta - come ho detto - essere condizionati e cedere alla compensazione. La gravità dell’errore di Di Bello, non è tanto aver giudicato regolare l’intervento di Iling Junior, quanto averlo fatto perché era stato convinto da qualcuno di aver sbagliato, allo stesso modo, per l’intervento di Moro su Chiesa.

    Tecnicamente parlando, Di Bello non è né meglio, né peggio di molti altri suoi colleghi. Il punto è che se ci si lascia condizionare da qualcosa, ma più di tutti da un proprio errore, allora il mestiere di arbitro e giudice non fa per te. Rivoluzionaria non è la sua affermazione a Di Vaio, rivoluzionario è che ci scandalizziamo solo adesso. Sicuramente è successo anche altre volte e non abbiamo mai avuto la preoccupazione di prendercene cura.

    Perché non è vero che paghino solo gli arbitri che danneggiano la Juventus. I probabili due mesi di sospensione dicono, al contrario, che chi danneggia gli avversari della Juve, sono puniti in misura maggiore e, se vogliamo, anche con maggiore platealità. Il problema, oggi, non è più preservare una squadra, ma salvaguardare il prodotto.

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