PRISMA
Jacobelli: no, Moggi, purtroppo Calciopoli non è stata uno scherzo
Recitano i manuali di diritto: la prescrizione determina l'estinzione di un reato dopo un determinato periodo di tempo. La prescrizione trova ragione d'essere nel diritto dell'imputato ad un giusto processo in tempi ragionevoli (superati i quali, il reato si estingue), dal tempo che passa e rende più difficile (ad esempio per l'inquinamento delle prove, la scomparsa o minore memoria e attendibilità dei testimoni) sia l'azione penale sia l'esercizio del diritto di difesa, quanto più il processo venga celebrato anni dopo i fatti oggetto di reato. Hanno colpito le parole pronunciate dal procuratore generale Gabriele Mazzotta nella sua requisitoria, rimarcando “l’esistenza di una associazione a delinquere finalizzata a condizionare i risultati delle partite, le designazioni arbitrali, le carriere dei direttori di gara, e l’elezione dei vertici della Lega calcio”.
Secondo Mazzotta, la Corte doveva convalidare le sentenze di secondo grado pur prendendo atto della sopravvenuta prescrizione, ad eccezione di alcuni episodi di frode sportiva e delle condanne agli ex arbitri Paolo Bertini e Antonio Dattilo per i quali è stata chiesta l'assoluzione e sono stati assolti. Bertini e Dattilo avevano rinunciato alla prescrizione e sono usciti a testa alta da un incubo. Anche De Santis aveva rinunciato alla prescrizione, ma è stato condannato a 10 mesi con sospensione della pena. La pubblica accusa ha parlato di “struttura associativa nella quale tutti si ritrovavano ad attentare ai risultati delle singole partite, ma anche a dare appoggio a Carraro, candidato al vertice della Figc o a pilotare dossier contro i Della Valle colpevoli di volere un altro presidente alla guida della Lega. E si interferiva anche nella progressione delle carriere degli arbitri. I sodali del sistema Moggi erano dotati di un apparato organizzativo con schede telefoniche svizzere riservate, difficilmente aggredibili da intercettazioni legali o illegali, come quelle dell’Inter”. E ancora: “La condivisione di schede riservate estere è sintomatica dell’indice associativo, i contatti avvenivano sempre in prossimità del sorteggio delle griglie arbitrali, non può considerarsi come un elemento di portata neutra la partecipazione di Moggi, dirigente della Juventus, alle designazioni dei direttori di gara, ma un fatto anomalo, dell’intromissione fraudolenta di un soggetto non autorizzato e non, come sostiene la difesa di Moggi, di un accorgimento per assicurarsi un risultato corretto”.
In attesa delle motivazioni della sentenza, per le quali bisognerà attendere mesi, fa riflettere un'affermazione di uno dei legali di Moggi, l'avvocato Maurilio Prioreschi: “Questo processo parte con circa cinquanta indagati, tra arbitri e assistenti, più i vertici della Federazione. Oggi questa mega associazione a delinquere si riduce a due arbitri e tre partite. Fatte tutte le scremature, assolti gli arbitri e gli assistenti, Moggi avrebbe fatto tutta la frode sportiva da solo. Si sarebbe seduto e avrebbe detto domattina altero il risultato della partita”. La sensazione che giustizia non sia stata fatta né sul fronte penale né su quello sportivo (anche qui la prescrizione ha fatto più danni della grandine), rimane inalterata. E, purtroppo, non è uno scherzo. Per nessuno.
Xavier Jacobelli
Direttore Editoriale www.calciomercato.com