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Italia in finale senza rubare nulla, il successo sulla Spagna è la conferma: conta solo il risultato, altro che il bel gioco
La “s” dello spettacolo è stata sostituita dalla “s” della sofferenza. Ma intanto, dal primo esaltante 3-0 contro la Turchia al debutto all’Europeo all’ultimo 1-1 nei supplementari contro la Spagna, poi eliminata ai rigori, gli Azzurri sono riusciti ad arrivare in finale, che giocheranno domenica a Wembley contro l’Inghilterra, guarda caso nello stesso 11 luglio in cui l’Italia di Bearzot vinse il Mondiale in Spagna, nel 1982. Per trovare un’altra nostra finale europea, invece, bisogna risalire a nove anni fa quando Buffon e compagni, nel 2012 a Kiev, incassarono quattro gol (a zero) dai campioni del mondo in carica di Vicente del Bosque.
Allora sulla panchina azzurra c’era Cesare Prandelli, mentre stavolta c’è Roberto Mancini, due c.t. che con giocatori diversi hanno sempre cercato di vincere attraverso il palleggio e il bel gioco. Dopo due finali perse, nel 2000 contro la Francia e nel 2012 contro la Spagna, speriamo che non valga il proverbio secondo il quale “non c’è due senza tre”, perché siamo stanchi di ricordare che abbiamo vinto l’Europeo soltanto nel 1968. Nell’attesa, però, l’ultima sofferta partita contro la nazionale di Luis Enrique, ha ribadito l’importanza del risultato, perché è inutile stravincere la partita del “possesso palla”, se non si segna almeno un gol più degli avversari. Ed è anche inutile giocare meglio e meritare il successo, se non si è capaci di concretizzare la propria superiorità.
Come ha scritto con grande onestà Giancarlo Padovan su questo sito, la Spagna avrebbe meritato più dell’Italia di arrivare in finale. Sottoscriviamo e aggiungiamo che gli Azzurri non hanno rubato nulla, né sono stati aiutati dall’arbitro come è successo agli inglesi. Molto più semplicemente la Spagna ha sbagliato troppo e l’Italia l’ha punita battendo meglio i rigori, che non sono una “lotteria” ma un esercizio di abilità tecnica e psicologica che coinvolge diversi giocatori, a cominciare dal portiere, nel caso specifico l’ormai ex milanista Donnarumma, ancora una volta decisivo. E così, alla fine di una serata da brividi, prima di paura e poi di gioia, i tifosi sono scesi in piazza a festeggiare con le bandiere, non soltanto a Roma a Milano e in tante altre città italiane, ma anche all’estero da Londra a Lugano.
Perché conta vincere, non importa come e lo dimostra il fatto che nessuno fa i caroselli con le auto per festeggiare il bel gioco se manca il risultato. Le strade di Madrid e Barcellona, infatti, sono rimaste in silenzio, malgrado la superiorità tecnica, ma sterile, della Spagna. Un discorso che si può allargare, perché anche l’Italia trascinata da Baggio sino alla finale del Mondiale americano del 1994, ma poi sconfitta ai rigori dal Brasile, non è stata festeggiata al ritorno. E addirittura un’altra nostra nazionale, campione d’Europa in carica, dopo il secondo posto contro il grande Brasile di Pelè nella finale mondiale del 1970 persa 4-1 in Messico, fu accolta con i pomodori al rientro in Italia. Si potrebbe proseguire con il ricordo delle “notti magiche” del 1990 a Roma, bruscamente interrotte dalla sconfitta, anche quella ai rigori, nella semifinale contro l’Argentina di Maradona, senza nessuna auto imbandierata alla fine.
Ecco perché il solito ritornello di Sacchi, secondo il quale bisogna vincere con il bel gioco è pura utopia che si scontra con la realtà. Negli almanacchi rimane soltanto il nome di chi vince, non di chi gioca bene, e alla fine festeggia soltanto chi vince. E allora auguriamoci di vedere altre feste con le bandiere tricolori domenica notte. A costo di soffrire ancora sino all’ultimo rigore.
Allora sulla panchina azzurra c’era Cesare Prandelli, mentre stavolta c’è Roberto Mancini, due c.t. che con giocatori diversi hanno sempre cercato di vincere attraverso il palleggio e il bel gioco. Dopo due finali perse, nel 2000 contro la Francia e nel 2012 contro la Spagna, speriamo che non valga il proverbio secondo il quale “non c’è due senza tre”, perché siamo stanchi di ricordare che abbiamo vinto l’Europeo soltanto nel 1968. Nell’attesa, però, l’ultima sofferta partita contro la nazionale di Luis Enrique, ha ribadito l’importanza del risultato, perché è inutile stravincere la partita del “possesso palla”, se non si segna almeno un gol più degli avversari. Ed è anche inutile giocare meglio e meritare il successo, se non si è capaci di concretizzare la propria superiorità.
Come ha scritto con grande onestà Giancarlo Padovan su questo sito, la Spagna avrebbe meritato più dell’Italia di arrivare in finale. Sottoscriviamo e aggiungiamo che gli Azzurri non hanno rubato nulla, né sono stati aiutati dall’arbitro come è successo agli inglesi. Molto più semplicemente la Spagna ha sbagliato troppo e l’Italia l’ha punita battendo meglio i rigori, che non sono una “lotteria” ma un esercizio di abilità tecnica e psicologica che coinvolge diversi giocatori, a cominciare dal portiere, nel caso specifico l’ormai ex milanista Donnarumma, ancora una volta decisivo. E così, alla fine di una serata da brividi, prima di paura e poi di gioia, i tifosi sono scesi in piazza a festeggiare con le bandiere, non soltanto a Roma a Milano e in tante altre città italiane, ma anche all’estero da Londra a Lugano.
Perché conta vincere, non importa come e lo dimostra il fatto che nessuno fa i caroselli con le auto per festeggiare il bel gioco se manca il risultato. Le strade di Madrid e Barcellona, infatti, sono rimaste in silenzio, malgrado la superiorità tecnica, ma sterile, della Spagna. Un discorso che si può allargare, perché anche l’Italia trascinata da Baggio sino alla finale del Mondiale americano del 1994, ma poi sconfitta ai rigori dal Brasile, non è stata festeggiata al ritorno. E addirittura un’altra nostra nazionale, campione d’Europa in carica, dopo il secondo posto contro il grande Brasile di Pelè nella finale mondiale del 1970 persa 4-1 in Messico, fu accolta con i pomodori al rientro in Italia. Si potrebbe proseguire con il ricordo delle “notti magiche” del 1990 a Roma, bruscamente interrotte dalla sconfitta, anche quella ai rigori, nella semifinale contro l’Argentina di Maradona, senza nessuna auto imbandierata alla fine.
Ecco perché il solito ritornello di Sacchi, secondo il quale bisogna vincere con il bel gioco è pura utopia che si scontra con la realtà. Negli almanacchi rimane soltanto il nome di chi vince, non di chi gioca bene, e alla fine festeggia soltanto chi vince. E allora auguriamoci di vedere altre feste con le bandiere tricolori domenica notte. A costo di soffrire ancora sino all’ultimo rigore.