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    Italia femminile: anatomia di un fallimento, disperso un patrimonio di popolarità. Il dilemma su Bertolini

    Italia femminile: anatomia di un fallimento, disperso un patrimonio di popolarità. Il dilemma su Bertolini

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Eutanasia di un amore. Ovvero come buttare nel cestino un rapporto di affetto, stima e considerazione, costruito da tre anni a questa parte, e ritrovarsi al punto zero di una storia che era già bella, grande e promettente.

    Con l’eliminazione alla fase a gironi, l’Italia del calcio femminile non fa solo un passo indietro dal punto di vista tecnico e sportivo, ma disperde un patrimonio di popolarità e consenso che sembrava poter solo aumentare.

    Il punto non è solo essere state eliminate al primo turno dall’Europeo (non accadeva dal 2005 quando il c.t. era Carolina Morace); non è neppure aver segnato solo due gol in tre partite e non averne vinta neanche una. Purtroppo, oltre a non farci sognare neppure per un minuto, queste ragazze ci hanno deluso sul piano del coraggio (con la Francia), dell’orgoglio (con l’Islanda) e del gioco (con il Belgio).

    La verità è che non sono sembrate mai in partita, mai convinte di potercela fare, cronicamente carenti sotto porta (hanno segnato un attaccante di riserva, Piemonte, e un difensore, Bergamaschi), inevitabilmente portate all’errore nei passaggi, completamente assenti nella costruzione del gioco.

    Le ragioni di questo brusco ridimensionamento sono molteplici: il blocco Juve (nove calciatrici) è arrivato stanco all’appuntamento, avendo sulle gambe ben cinquanta partite. Gama, il capitano, ha sofferto di un fastidio al ginocchio che ne ha limitato sicurezza ed efficacia. La compagna di reparto, Linari, fortissima fisicamente, ha avuto più di qualche passaggio a vuoto e sugli esterni Bergamaschi o Di Guglielmo, pur facendo meglio di Boattin, hanno corso tanto, ma creato poca sovrapposizione e velocità. Si è sentita molto l’assenza di Cernoia (Covid), ma si doveva far meglio comunque, soprattutto sulle palle inattive.

    Malissimo il centrocampo dove hanno deluso profondamente Manuela Giugliano, Galli e Caruso, in teoria le tre titolari. Meglio hanno fatto Simonetti e Rosucci, ma, dopo la buona prestazione con l’Islanda, hanno pagato il fiato corto.

    Una catastrofe l’attacco. Bonansea ha colpito un palo e servito un assist con l’Islanda, ma di fronte al Belgio non si reggeva in piedi. Girelli ha centrato una traversa che avrebbe potuto invertire l’ultima e decisiva gara. Tuttavia sono parse involute e fuori fase al pari di Giacinti e Sabatino. L’unico squillo è venuto da Piemonte (gol di testa alla Francia), però contro l’Islanda la ragazza del Milan ha mostrato limiti tecnici ancora insormontabili.

    Quindi l’Italia femminile è stata in perenne difficoltà fisica e al limite della decenza tecnica. Se a questo si aggiunge molta presunzione (“siamo l’Italia”, dimostriamo chi siamo”, “non possiamo essere eliminate in un girone del genere”) e le aspettative cresciute dopo il buon Mondiale di tre anni fa, si ottiene che pure dal punto di vista nervoso le azzurre erano scariche. Avevano “giocato” l’intero Europeo prima, si erano consumate in voli pindarici rilasciando interviste nelle quali sembrava che la magìa dovesse continuare in eterno, hanno “recitato” troppi spot dai quali si capiva che successo ed entusiasmo sarebbero stati il naturale prosieguo della finzione.

    Un buon bagno di umiltà serve sempre anche se questo è stato fatto nell’acqua gelata e il rischio è che, da adesso e per un bel po’, si abbia paura dell’acqua anche quando bisogna semplicemente nuotare.

    L’anno prossimo c’è il Mondiale di Australia e Nuova Zelanda e, virtualmente, l’Italia è già qualificata, nel girone è davanti alla Svizzera (battuta in casa) e deve mantenere il primo posto in due partite di qualificazione assolutamente abbordabili.

    Milena Bertolini, il c.t., ha il contratto che scade alla fine della prossima manifestazione, ma in tutta onestà dovrebbe porsi due domande. La prima: è giusto che sia ancora lei a guidare la Nazionale? La seconda: va mantenuta questa struttura di squadra o bisogna avviare una transizione?

    Sono domande capitali a cui deve dare una risposta, anche prima della stessa Bertolini, il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina. Avere avviato il professionismo non significa contare su calciatrici migliori, meno che mai dopo neanche un mese dalla nuova fase. Quanto al Mondiale di Francia bisogna chiarire se fu un episodio (l’Italia vinse fino a quando incappò nella prima Europea) o il punto massimo del nostro rendimento.

    In ogni caso bisogna ricominciare da capo. Consapevoli del fatto che un altro fallimento del genere il movimento non se lo può permettere.

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