
Chiesa, Barella e Dimarco giù nel momento clou dell'Italia. La Serie A non allena più?
- 130
@cicciostraga7
IL PROCESSO - Da buona tradizione italiana, dopo ogni disastro, dopo la tempesta che sta scuotendo gli ambienti e i vertici del calcio italiano, l’atmosfera tende a farsi ancora più scura, tetra e densa di dubbi, di nodi da sciogliere, di decisioni da prendere. Le torbide acque nel quale naviga il sistema calcio italiano non fanno che oscurarsi sempre più, in attesa di una rivoluzione che, ahinoi, è tanto inneggiata e conclamata a gran voce quanto lontana dall’essere mai realizzata.
CACCIA AI COLPEVOLI - Inevitabile, dunque, come stavamo dicendo, che scatti immediata l’ora del processo. Una caccia alla streghe di moderna attualizzazione che permetta di individuare i colpevoli di questa prestazione nettamente al di sotto delle aspettative dei media del Bel Paese, degli addetti dei lavori, dei tifosi e, soprattutto, dello stesso gruppo di 26 giocatori (più staff tecnico) che ha fatto parte della spedizione in Germania.
TUTTI RESPONSABILI - E di colpevoli, c’è da dire, ce ne sarebbero tanti da individuare. A partire dal nostro presidente federale Gabriele Gravina che ha sì indetto una conferenza stampa (LEGGI QUI) dove ha tentato di spiegare i motivi di tale fallimento, ma che, in quanto figura elitaria nella piramide delle istituzioni calcistiche italiane, non è riuscito a consolidare e rinforzare un movimento calcistico italiano che aveva - e tuttora ha - disperato bisogno di rinnovamento. Ma se le chiavi di volta esistono e vengono invocate nel gran nome delle riforme, qualcosa sarebbe anche dovuto accadere. E in realtà qualcosa è accaduto: sì, ma nulla di positivo.
C'E' UN MOTIVO - A cascata, partendo dai vertici federali, si arriva a temi di più nostrana concezione, ovvero la parte tecnica e atletica. Ed è esattamente qui che ci vogliamo soffermare. Per quanto sia ovvio e scontato che, di fronte a un disastro di queste proporzioni, come in ogni club o società, il primo a pagarne le conseguenze sia il condottiero (in questo caso il CT Luciano Spalletti, che ha vissuto l’intera avventura in Germania in piena balia di una confusione e di un’incertezza tattica che parte dalle sue convocazioni e arriva alle scelte effetuate), è altrettanto chiaro come i mirini vengano puntati sugli interpreti chiamati in causa dal nostro commissario tecnico. In particolar modo, su quelle 3-4 individualità di maggior talento e qualità che sarebbero dovuti essere i leader, le guide della Nazionale azzurra, ma che invece si sono persi nella mediocrità di talento che l’attuale generazione sta regalando all’Italia. E per un motivo specifico.
GRANDE PREOCCUPAZIONE - A destare, infatti, la maggior preoccupazione e attenzione sono state le condizioni fisico-atletiche dell’intera rosa a disposizione del CT. Al netto delle evidenti responsabilità da imputare a Spalletti, non si può che sottolineare come la condizione atletica dei suoi giocatori sia stata disastrosa, con la sua massima espressione che è divenuta lampante nella sfida contro la Svizzera. Gli elvetici hanno dominato in lungo e in largo, anticipando ogni tempo e intenzione degli Azzurri, risultati essere perennemente in ritardo e in affanno in ogni situazione, su ogni pallone, in ogni azione. Limpido come ci sia stato qualche meccanismo, nella preparazione atletica di questo Europei, che non abbia funzionato.
SPALLETTI CHIARO - “Quello che ha fatto la differenza è stato il ritmo, avevamo un ritmo troppo inferiore a loro nel primo tempo. Anche nelle individualità c’era un passo differente. Il ritmo e la freschezza fanno sempre la differenza, ho cambiato i giocatori facendoli recuperare e magari in questo momento qui non siamo in grado di fare più di questo. Un discorso che si farà dopo, ci vuole più gamba e più ritmo. Ci vuole continuità e sacrificio, in diversi siamo stati poco continui. Probabilmente non siamo arrivati in condizioni eccezionali”. Le dichiarazioni del commissario tecnico a Sky Sport e alla Rai non possono che destare più di qualche preoccupazione.
MANCA IL FISICO -Sono mancate le gambe, letteralmente. E così diventano ancora più evidenti i limiti tecnici di una Nazionale che, nel corso degli ultimi anni, ha perso sempre più qualità e talento. Arrivare a una manifestazione così importante, senza una condizione fisica adeguata, comporta guardare in faccia una realtà che, come poi è stato, non può che essere negativa. Da campioni in carica, eliminazione agli ottavi (già centrata per il rotto della cuffia) e tutti a casa. Colpa, fra le tante, di una preparazione atletica altamente insufficiente che dovrebbe portare Spalletti e il suo staff a delle considerazioni importanti su cosa esattamente cambiare, su quali siano stati gli errori e su come modificare il proprio approccio in modo tale da trovarsi, al prossimo grande impegno internazionale, non impreparati.
NESSUN LEADER - Ma se dovessimo soffermarci sui singoli, i casi maggiormente in evidenza riguardano tre giocatori su tutti: Federico Chiesa, Nicolò Barella e Federico Dimarco. I tre giocatori di spicco della nostra Italia, i leader tecnici che avrebbero dovuto farci compiere quel salto di qualità necessario. Apparsi in affanno dal punto di vista fisico, non hanno fornito le risposte che ci si aspettava dalla loro indubbia qualità. Non siamo di fronte a una generazione di fenomeni, ma, in ogni caso, ci troviamo davanti a calciatori che sono pilastri di due dei top club della nostra Serie A, come Inter e Juventus, due formazioni competitive per i più alti ranghi del nostro campionato e che, nell’ultimo decennio, hanno dimostrato di sapersi confrontare con le migliori formazioni europee. Ma guardiamo qualche dato.
STATISTICHE ALLA MANO - Passando al setaccio qualche statistica fornita dal sito ufficiale della UEFA, il fatto che si evince è come i giocatori azzurri (anche solo facendo riferimento alla partita contro la compagine allenata da Yakin) corrano tanto, anche troppo – con una media che si attesta poco distante ai 33km di distanza percorsa – ma peggio rispetto agli avversari, coprendo sì uno spazio maggiore, ma completamente a vuoto. Gli Azzurri coprono una distanza maggiore senza il pallone tra i piedi, lasciando il comando e il pallino del gioco ai propri avversari, il che comporta una fatica maggiore, una stanchezza che si presenta prima rispetto al preventivato e una lucidità, nei momenti clou delle sfide, che si abbassa in maniera preoccupante. Lo dimostra il solo 10% di reti realizzate sulle occasioni avute a disposizione, le sole 7 incursioni di Chiesa in area di rigore in 4 partite, i 9 tiri complessivi tentati tra tutti e tre e una percentuale di passaggi a buon fine che, a malapena, supera la media dell’80%. Serve dunque una riflessione sul quale soffermarci: la Serie A è davvero così competitiva come si crede? Permette un sufficiente livello di allenamento in vista di un torneo tanto importante?
SERIE A NON "ALLENANTE"? - La risposta, in realtà, non si sbilancia né dal sì né dal no. Il campionato italiano è effettivamente tornato a essere competitivo. La dimostrazione è nell’Inter vice campione d’Europa solo un anno fa, è nell’Atalanta di Gian Piero Gasperini che trionfa a Dublino portandosi a casa il primo trofeo europeo di sempre (l’Europa League), è nella formazione giovanile del Milan che sfiora il successo in Youth League, è nella Fiorentina che disputa due finali continentali consecutive – pur uscendone sconfitta -, è nel Milan che arriva in semifinale di Champions nella stagione ‘22/’23. Il calcio italiano è in crescita. Tutto vero, verissimo. Ma non è una questione di sistema, ma di interpreti: il merito va riconosciuto a quelle società che, senza particolare supporto economico da parte delle istituzioni, hanno donato nuova linfa alla Serie A, innalzando il prestigio a livello europeo. Successi di club, dunque, non di sistema, quel sistema che dovrebbe proteggere e valorizzare il nostro calcio.
SITUAZIONE COMPLESSA - Ma, anche qui, la situazione è più complessa. Perchè se da una parte abbiamo un sistema calcio che non ha le capacità di trovare le soluzioni per migliorare il movimento, dall’altra ci troviamo di fronte a un ostracismo di questi stessi club che, allo stato attuale dei fatti, ci punta poco, se non per nulla. Al di là del cosiddetto blocco Inter (formato da Dimarco, Barella, Frattesi, Acerbi – non convocato per infortunio, ma che faceva parte della lista iniziale dei 26 – Bastoni e Darmian), solo Chiesa e Pellegrini, delle big del nostro campionato, sono tra gli inamovibili della formazione titolare nel proprio club. Donnarumma è da anni emigrato in Francia, a Parigi, diventando tra i migliori estremi difensori al mondo, Di Lorenzo ha vissuto la peggior stagione della sua carriera, Scamacca ha dato il meglio di sé solo nella seconda parte della stagione. Un dato che senz’altro sorprende.
DATI PREOCCUPANTI - E scorrendo tutte le formazioni della nostra Serie A, la percentuale di giocatori italiani che fanno parte delle società di attesta al 38.3 %, con ben il 61.7% di stranieri che popolano il nostro campionato. Giovani formati nei club di appartenenza? Soltanto l' 8,1 per cento (e non è detto che siano tutti selezionabili per le Nazionali azzurre). Dati che sono in netto contrasto con quanto si ammira nelle restanti 4 top leghe europee – stranieri in Liga 37.7%, in Premier League 58.6%, in Bundesliga 49.7%, in Ligue 1 41.8% - e che ci portano davanti a una riflessione importante.
UNA RISPOSTA C'E' - Non è tanto la Serie A a non essere più allenante o competitiva in senso generale: semplicemente non lo è per la nostra Nazionale, perché gli Azzurri che vengono messi alla prova in Italia e in Europa sono pochi, troppo pochi per dare gli strumenti necessari al CT di turno di avere un bacino di selezione, tanto ampio, da poter scegliere un rosa che sia davvero competitiva rispetto al resto delle compagini europee. Chiaro come serva una riforma decisiva che porti club e Federazione a trovare un punto d’incontro per valorizzare il calcio italiano. Il talento c’è – leggasi l’Under 17 campione d’Europa – ma va coltivato, analizzato, coccolato e messo in risalto. Serve mettersi alla pari rispetto a Francia, Germania e Spagna, nazioni che hanno centri federali di assoluta e innovativa modernità che permettono ai talenti di crescere verso un’unica e singola direzione: portare giocatori alla Nazionale maggiore. Gli Mbappé, i Musiala, gli Yamal non sono frutto del caso, ma di un’esperienza e di un’organizzazione ragionata e condivisa, dotandosi di strutture adatte al vero obiettivo da centrare. In Italia va valorizzato il talento, va data fiducia ai giovani e va permessa la loro crescita per tornare a plasmare calciatori generazionali che possano segnare epoche nel nostro calcio. La Serie A stessa ne sarà grata, aumentando le percentuali di italiani in campo e di conseguenza anche l’Italia ne gioverà. Strutture migliori, talenti maggiori, campionato sempre più competitivo e una Nazionale che può sognare di tornare grande. Basta poco, basta crederci e mettersi all’opera. Alle istituzioni il compito, ai club l’intelligenza di capire: il movimento azzurro ha bisogno di rinascere, ora o mai più.