Islanda: anche gli elfi giocano a pallone
Più in su, neppure troppo distante, c’è solamente il Polo Nord con i suoi ghiacci che rischiano di non essere più eterni, con i suoi orsi bianchi il cui pelo inquinato sta tendendo tristemente al giallo, con le sue foche e con i suoi trichechi alle cui pelli i mercanti-macellaio non vogliono saperne di rinunciare. Chi c’è stato, ultimo il maestro Einaudi per un suggestivo “assolo” di pianoforte “plein air”, giura che da un punto qualsiasi di quel luogo è sufficiente alzare una mano e puntare il dito indice per poter toccare il cielo. Naturalmente non è così, ma la suggestione di trovarsi meravigliosamente a contatto con un altro mondo deve essere davvero unica al punto da poter piacevolmente confondere la realtà con la fantasia.
Scendendo, di poco, c’è un’isola il cui nome di Islanda significa “terra ghiacciata” e la cui capitale, Reykjavyck, vuole dire “baia dei fumi”. Neppure i legionari della Roma Imperiale, nel loro procedere in lungo e il largo per ingordigia di conquista, avevano osato violare quel territorio perennemente avvolto dalla nebbia. Non ci sarebbe stata alcuna divinità così forte e potente in grado di difendere gli uomini e di garantire l‘approdo delle sue navi da guerra su quelle lingue senza spiaggia e dominate da alte scogliere. Solamente un sacerdote greco, Pitea, riuscì ad arrivare nei pressi di quell’inferno in terra. La sfiorò per osservarla in lontananza dall’isola chiamata l’ultima Thule poi inghiottita dal mare e dalla leggenda per trasformarsi in materia da poesia per Virgilio e, ai nostri tempi, per Guccini. Furono la temerarietà e il coraggio di esploratori vichinghi, evidentemente certi della protezione di Odino, a “sverginarla” con i suoi segreti e a regalarla al mondo che la stampò sulle mappe. Trecentomila abitanti ufficialmente iscritti all’anagrafe. Un numero imprecisato, anzi proprio sconosciuto, di “islandesi” invisibili ma già padroni dell’isola ben prima che il sole di ghiaccio e le notti più nere del nero si alternassero sopra i primi accampamenti dei conquistatori. Un popolo composto da giganteschi “troll”, da minuscoli “elfi”, da leggiadre “fate”, da dispettosi “folletti” che vive in simbiosi spirituale con la gente dell’isola che “non c’era” ma che Peter Pan ha sempre conosciuto e frequentato nei suoi voli virando in cielo dopo la seconda stella a destra. Naturalmente nessun islandese vi dirà mai di aver visto uno di questi personaggi da fiaba intrufolarsi nelle case o passeggiare tranquillamente tra i fumi dei “gaiser” bollenti sprigionati dal terreno.
Allo stesso tempo nessuno degli islandesi rinnegherà l’antico “teorema dell’elfo” tramandato, da padre in figlio, fin dalla notte dei tempi. L’anno scorso per esempio, l’intera comunità di un paesino vicino alla capitale scese in piazza e organizzò delle barricate per impedire ad una ditta svedese di costruire una nuova e più agevole strada. L’opera prevedeva lo smantellamento, a colpi di ruspa, di alcune montagnole di pietra oltreché di mezzo bosco di aceri. Secondo gli studi di alcuni esperti, tra i quali anche un docente universitario, dentro quei massi vivevano alcune famiglie di “elfi” e su quelle piante soggiornavano interi gruppi di “fate”. Per niente al mondo un tale delitto sarebbe stato permesso. Seguì una clamorosa campagna stampa. Le autorità non eccepirono e la ditta dei lavori se ne tornò a casa per la buona pace di tutti quanti. Il rischio di compromettere l’equilibrio secolare tra umani terrestri e abitanti della natura sarebbe troppo grosso. Comporterebbe il risveglio del vulcano sollecitato dal popolo degli invisibili con conseguenze tremende.
Sì perchè, a quanto pare, elfi, fate, troll, folletti e quant’altro possiederebbero la capacità di condizionare ciascun elemento della natura conosciuto e anche sconosciuto. Nel bene come nel male. E forse anche da questo rapporto particolare tra realtà quotidiana e meraviglie del possibile trova una spiegazione il “saper vivere” degli islandesi i quali sicuramente, come tutti gli altri cittadini europei, avranno i loro problemi e le loro rogne quotidiane da risolvere ma non per questo danno di matto o si permettono di esagerare. Rispetto per la natura uguale a rispetto per l’uomo.
Cioè rispetto per chi ha creato tutto ciò e per le sue “sentinelle” invisibili i cui nomi, certamente, finiranno per “...sson” come quelli dei giocatori impegnati in Francia a scrivere una leggenda bella e suggestiva come quella raccontata nelle pagine di favole vere. Dove anche gli elfi, per gratitudine verso chi li sa proteggere, hanno imparato a giocare a pallone e fanno anche gol.