Inter, Zanetti: 'Lautaro esempio, anche oggi si può diventare bandiere. Ibra e Balotelli i più difficili da gestire. Zhang...'
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RISPETTO - "Una cosa che mi fa molto piacere sentire il rispetto di tutti, non solo dei miei tifosi. Questo vuol dire che uno ha fatto la carriera e non accerta maniera e continua a cercare di ispirare soprattutto i più giovani"
PUPI - "In tanti mi chiamano Pupi perché è un soprannome che porto dall’Argentina da quando ero piccolo, me lo ha messo uno dei miei primi allenatori. Poi ho usato questo nome anche per la mia fondazione in Argentina, lavoriamo con tanti bambini. Il motivo? Io mi chiamo Javier e in quella squadra lì ce ne erano tanti che si chiamavano così: questo allenatore aveva avuto mio fratello come calciatore e lo chiamava Pupi, quindi anche a me hanno iniziato a chiamarmi Pupi e mi è rimasto".
SAMUEL - "Non esistono argentini senza soprannome. Se ne ho mai dato io?a Walter Samuel, il muro, The Wall, gliel’ho dato io".
28 IN ITALIA - "Ormai mi sento italiano, sono 28 anni che sono qui, però l’Argentina è la mia terra e da dove parte il mio sogno di diventare calciatore. Arrivare in Italia per me è stata una grandissima opportunità. Non nascondo che era un’ambizione, un sogno".
QUI PER MARADONA - "Quando facevamo i primi passi da calciatori in Argentina guardavamo le partite di Maradona che giocava a Napoli e credo che in quel momento lì e anche in questo momento il calcio italiano sia molto ambito. Confrontarti con grandi campioni per noi giovani era una grandissima opportunità.
FAMIGLIA - "Con i tifosi c’è subito stato feeling perché mi vedevano come un bambino che faceva i primi passi, tutti mi volevano proteggere e aiutare e questo l’ho sentito. È stata la prima cosa che ho sentito quando sono arrivato al primo allenamento ad Appiano e che l’Inter per me è una famiglia.e questo l’ho percepito subito".
VICE PRESIDENTE - "Quando ho deciso di smettere io volevo fare qualcosa legato al calcio e se avessi potuto avrei voluto continuare questo legame con l’Inter. Non nascondo che quando l’Inter mi informò che avrei fatto il vicepresidente, in quel momento lì ero felicissimo però allo stesso momento iniziavo ad avere una grandissima responsabilità. È una delle squadre più importanti al mondo e quindi questo ruolo richiede una preparazione. Ci ho pensato un po’, poi conoscendomi ho detto ok. La mia carriera da calciatore è durata fino a quasi 41 anni e dopo tanti chilometri ho deciso di intraprendere questa avventura da manager, iniziando completamente da zero. Non volevo che il ruolo mi venisse garantito per quanto avevo fatto in campo. Volevo guadagnarmelo".
L'ADDIO AL CALCIO - "Non è semplice prendere la decisione di smettere, prima di smettere ci devi pensare. Io mi sono rotto il tendine d’Achille quasi a 39 anni e non volevo smettere in quella maniera, tutti pensavano fosse la mia fine perché era un infortunio grosso. Ora è successo a Berardi e gli auguro una pronta guarigione. Io ho deciso di tornare in campo bene davanti ai miei tifosi da protagonista, per poi smettere e iniziare questa nuova avventura. Quando sono tornato in campo mancava un quarto quarto d’ora alla fine della partita contro Livorno, abbiamo vinto e io mi sono sentito molto bene. Sono andato a fare la doccia e ho pensato per la prima volta 'ok, questa è la mia ultima stagione'".
MESSI E MARADONA - "Messi? Io litigavo con tanti giornalisti argentini che lo criticavano perché uno non deve analizzare lo sportivo solo per le vittorie, ma deve analizzarlo per il percorso. Lui ha dei numeri incredibili. Anche se non avesse vinto nulla in carriera per me sarebbe stato un fenomeno uguale. Ha iniziato con la nazionale Argentina quando era giovanissimo, poi noi abbiamo smesso e lui ha continuato e ha perso delle finali importanti e sono arrivate le critiche. Tutto è cambiato quando l’Argentina ha vinto la coppa America, Messi come capitano era l’emblema ed era il suo leader. Poi l’Argentina ha vinto la Finalissima contro l’Italia e poi è arrivata la grande sfida del Mondiale. C’erano tutte le condizioni per farla arrivare finalmente questa coppa con Messi come capitano. L
IL BASKET E CAMBIASSO - "Cambiasso? Grande giocatore di basket, infatti ad Appiano Gentile dopo gli allenamenti c’era il canestro e lui andava sempre a giocare. Anche Palacio è molto bravo. Mio figlio si allena all’Accademia Inter per un’ora e mezza e nel mentre vado allenarmi anche io perché c’è una palestra o Parco Sempione che è lì vicino: un giorno vado a correre vedo un gruppo di ragazzi che stavano giocando a basket al campetto e c’era anche Palacio. Lui viene da Bahia Blanca, dove è nato Ginobili e Lautaro Martínez che ha il fratello che gioca a basket. Quando riesco io vado a vedere le partite del Varese. Adesso siamo tanti argentini qua in Italia: Cambiasso vive qua, anche Palacio e Samuel".
MORATTI - "In quella foto (Zanetti che tiene l’ombrello e Moratti al suo fianco, ndr) eravamo alla Pinetina. È venuto lui dopo più di 10 anni che non tornava lì ed è stata una bellissima sorpresa perché Moratti per me è come un papà. Il presidente Zhang è stato molto gentile a invitarlo e quando anche io ho rivisto quella foto lì mi sono venuti in mente i miei tempi, quando io mi allenavo e lui era lì che con l’ombrello che guardava i nostri allenamenti. È stato un momento emozionante anche per lui, vedevo che era felicissimo di tornare in quella che è casa sua e vedere anche il presidente dell’Inter era felice di questa cosa".
LA CASSETTA DECISIVA - "Io sono arrivato all’Inter perché avevo fatto bene in una partita in cui l’Inter osservava Rambert. In quei tempi lì c’erano le videocassette: in Argentina c’erano Luis Suárez, Sandro Mazzola e Angelillo che lavoravano per l’Inter guardavano queste partite. L’inter prende Rambert e voleva prendere un altro giocatore, ma non nel mio ruolo. Quando mandano questa cassetta Mazzola ha chiamato Moratti, che aveva visto la cassetta con suo figlio, parlando di un trequartista. Moratti disse "no, voglio il numero 4. Comprate il numero 4'. Lì mi hanno comprato e così è iniziata la mia avventura con l’Inter".
LA FASCIA E LO SPOGLIATOIO - "Se ricordo la prima volta con la fascia? Sì, era una partita di Coppa Italia. Prima di me c'erano Bergomi e Pagliuca, ma mancavano tutti e due quindi ho indossato la fascia per la prima volta. Poi dal '99 in poi l'ho sempre indossata: è un momento di grande soddisfazione di grande onore perché vedevo tutti quelli che avevano indossato la fascia prima di me. Era una grande emozione. Da capitano hai più responsabilità, però dipende anche dalla personalità di ognuno. Ero un capitano che rendeva partecipi tutti, se c’era un problema facevo riunione con tutti e affrontavamo il problema e prendevamo le decisioni. Tutti i miei compagni mi hanno rispettato per questo, perché mi hanno conosciuto senza fascia e quando ho iniziato a indossarla non è cambiata la mia personalità".
IBRA E BALOTELLI - "Chi erano i più difficili da gestire? Quando fai parte di un gruppo così grande di gente con grande personalità e difficile. Ibra ad esempio aveva un carattere duro, ma quando parlavi con lui subito ti mettevi d’accordo perché lui aveva la sua personalità ma capiva tantissime cose. Con Mario Balotelli, che in quel momento era giovane ed è un talento unico, ci sono stati dei momenti di difficoltà. Però io dico sempre che quando si parla la soluzione si trova, bisogna parlare delle cose. Se c’è un problema va affrontato.
RONALDO - "Ronaldo era un fenomeno. Lui con noi arriva dal Barcellona nel miglior momento della sua carriera, era imprendibile. Aveva potenza, dribbling freddezza davanti al portiere. Ogni volta che partiva o gli facevi fallo o non lo fermavi. Era un ragazzo solare, sempre divertente, per il gruppo era molto positivo".
L'AFFARE LAUTARO - "Con quale giocatore di oggi vorrei giocare? Se io vedo adesso l’Inter come sta giocando, mi sarebbe piaciuto giocare con tutti loro perché sono tutti forti. Lautaro come argentino sicuramente sarebbe stato bello. C’è un rapporto bello perché tutto inizia quando lo abbiamo comprato. Ci confrontiamo sempre con Marotta, Ausilio e Baccin e poi decidiamo quale strategia utilizzare e quale squadra vogliamo creare. Quando abbiamo preso Lautaro lui era al 90% dell’Atletico Madrid. Io conoscevo uno dei procuratori e lui mi ha detto "Guarda siamo appena atterrati a Madrid, andiamo e firmiamo". Io chiamo Ausilio e glielo dico, lui era dispiaciuto perché lo seguiva da tanto tempo. Passano due settimane e mi chiama questo mio amico e mi dice che stavano avendo dei dei problemi con l’Atletico Madrid e se potevano parlare con noi. Parlo con Piero e gli ho detto 'subito'. Siamo partiti in Argentina e in due notti abbiamo chiuso, abbiamo trovato l’accordo con Lautaro e mancava l’accordo con il Racing. Con quel club io avevo un grande rapporto perché ci lavorava a Milito e perché conoscevo il presidente. Ho detto a Diego che stava arrivando Ausilio per cercare di chiudere l’operazione e lui mi ha detto "ok ok lo aspettiamo". Ausilio va in Argentina e chiude l’operazione col Racing. Lautaro aveva vent’anni".
IL 'NO' AL REAL MADRID - "Sul calcio di oggi dobbiamo insistere, dobbiamo credere che si può tornare a quei valori che c’erano un tempo. Dobbiamo essere per primi noi a trasmetterli. Mi è capitato di avere offerte di club importanti in Europa ho sempre messo nella mia bilancia per ultimo il lato economico, prima mettevo il il come mi trovavo in un determinato posto perché volevo continuare a restarci. L’Inter è sempre stata la mia priorità. Sono stato molto vicino al Real Madrid, però anche nel momento di quella proposta era un momento difficile per l’Inter e io volevo lasciare un segno all’Inter. Quello era un gran momento di difficoltà e non potevo andarmene come se niente fosse".
VALORI UMANI - "In generale le dinamiche sono cambiate. Ora c’è più informazione, i ragazzi hanno più consapevolezza e hanno più persone che li seguono. Però io credo che i valori devono restare sempre perché la base. Io anche adesso che studio all’università e che inizio a capire anche altre cose e che mi confronto anche con altri dirigenti che hanno una certa esperienza, dico sempre che uno può avere più o meno competenze però la differenza la fanno i valori umani. Io sono sicuro e convinto di questa cosa qua. Se ti comporti in una certa maniera di sicuro arriverai, se ti comporti in un’altra maniera può essere anche il più bravo ma non succede niente".
I RIVALI - "Il derby e la partita con la Juve sono le partite più sentite per una questione anche di storia che hanno tutti e tre i club, che viene dalla nascita. Quelle partita creavano anche qualcosa di speciale, ma ho avuto sempre grandissimo rispetto. Affrontare Paolo Maldini per me, aldilà della rivalità, era una cosa bella perché affrontavo un grandissimo campione dentro e fuori dal campo. E anche adesso quando ci troviamo fuori ci abbracciamo. Anche con Del Piero, con Totti, con Buffon. Il calcio è questa cosa: se magari non ti vedi da tanto tempo ti abbracci, perché il calcio unisce".