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    Inter: vincere la Champions non è utopia, ma serve il miglior Lautaro

    Inter: vincere la Champions non è utopia, ma serve il miglior Lautaro

    • Massimo Callegari
      Massimo Callegari
    “Un’altra finale di Champions, ci crediamo”. Nella splendida intervista a Paolo Tomaselli sul Corriere della Sera, Henrikh Mkhitaryan ha squarciato l’ultimo velo su quello che in tanti avevano scorto, percepito, annusato nei primi mesi della stagione: lo Scudetto è importante, ma la Champions è la prima cosa che conta. Quei centimetri in più che nemmeno i GPS riescono ancora a rilevare ma che in campo si sentono, quelle traiettorie chiuse su ogni cross e ogni passaggio, all’Etihad e contro l’Arsenal e non a Monza o a Marassi: eccola la differenza.

    Il campionato resta lì, sempre in cima ai pensieri ma alla destra del Sacro Graal. La parola chiave è: consapevolezza. Del valore e dei limiti, propri e degli avversari, in costante mutamento. Il valore dell’Inter è cresciuto, anche agli occhi dei rivali. City e Arsenal, pur rimaneggiate per scelta o per necessità, hanno sbattuto contro un muro invalicabile. Con una differenza da non sottovalutare: a Manchester l’Inter scelse quel piano partita, resistenza compatta e ripartenze feroci; contro i Gunners è stata messa alle corde (“li abbiamo chiusi nella nostra area”) da una pressione martellante, disinnescata da presenza difensiva e assenza offensiva, di un centravanti vero, tra i londinesi.

    Le quotazioni della concorrenza oscillano come le Borse nei giorni delle presidenziali americane. Però una dinamica ciclica, quasi fisiologica, ha portato Liverpool e Barcellona più avanti delle dominatrici delle ultime stagioni, City e Real Madrid. Gli Anni d’oro del Grande Real non sembrano ancora finiti, Pep & The City si prepara già per la decima e l’undicesima stagione ma intanto: gli infortuni di Rodri e Carvajal, l’addio dell’insostituibile Kroos, Foden e Bellingham in modalità risparmio energetico, l’armonia tutt’altro che sweet tra Vinicius e Mbappé…tutto questo ha portato alle difficoltà attuali dei due colossi. A primavera il quadro sarà ancora questo? Impossibile dirlo, ma quello è il periodo in cui si raccoglie ciò che si sta seminando ora. E in cui capiremo se dopo il volo di inizio stagione, Liverpool e Barça atterreranno a Monaco di Baviera per la finalissima del 31 maggio.

    L’Inter ha la forza per arrivarci ma dovrà lavorare anche sui propri limiti, che l’anno scorso le sono stati fatali contro l’Atletico. Uno collettivo, l’altro individuale. Al Metropolitano l’eccesso di gestione del vantaggio diede forza a un avversario che era ormai sulle ginocchia. Perché c’è una sottile ma decisiva differenza tra “controllo” e “gestione” della partita: nel primo si è sempre padroni del pallone, dei tempi e delle dinamiche, tattiche e psicologiche; nella seconda si tende a lasciare l’iniziativa agli avversari, a gestire tempi e spazi senza essere però avere completamente in mano la gara.

    Sul piano individuale, il salto di qualità dovrà garantirlo Lautaro Martinez. Il capitano, l’Uomo delle Finali in Italia, a segno in 3 Supercoppe e 1 finale di Coppa Italia, ma non altrettanto letale a Istanbul. Non solo: in 11 gare a eliminazione diretta di Champions, ha segnato solo 3 reti contro Liverpool, Benfica e Milan. Serve qualcosa in più. Per legittimare le ambizioni da Pallone d’Oro e per rendere realtà il testamento di Mkhitaryan, agli ultimi balli della carriera al top come altre colonne di questo ciclo interista: Sommer, Acerbi, Darmian...

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