Inter, uno Scudetto senza rivali. Milan, Juventus e Napoli, tre modi diversi di fare flop
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L’Inter è campione d’Italia per la stagione 2023/2024. Un verdetto chiaro ed incontrovertibile, per la capacità della squadra allenata da Simone Inzaghi di essere una vera macchina perfetta dall’inizio dalla fine. Per una formazione nerazzurra che ha rasentato la perfezione, c’è chi si lecca le ferite e recita il mea culpa. Le presunte concorrenti per la corsa allo Scudetto sono state spazzate via tutte, senza opporre nemmeno chissà che resistenza. Milan, Juventus e Napoli sono le prime grandi imputate di un campionato stravinto con merito da chi non ha mai mostrato punti deboli ma nel quale le tre inseguitrici, a turno, si sono mostrate inadeguate a reggere il confronto.
MILAN
Mai prima d’ora nella storia della Serie A uno Scudetto era stato assegnato al termine di un derby: al Milan di Pioli è toccato pure l’infausto primato e compito di consegnare ai cugini il titolo che vale la seconda stella proprio nella partita che metteva a confronto le due forze della città. Giocando pure in casa. La migliore (o peggiore) delle sintesi per una stagione piena di contraddizioni, partita con l’entusiasmo e la autoconvinzione che la rivoluzione estiva che aveva spazzato via due figure centrali del tricolore 2022 come Maldini e Massara e portato nuovi acquisti per 120 milioni di euro fosse la chiave per giocarsela alla pari e conclusa con la amara constatazione che il gap con l’Inter non solo non sia stato colmato, ma sia anche aumentato.
Il campo, giudice supremo, non mente mai: il Milan non ha mai saputo essere squadra, troppo aggrappato alle lune delle sue individualità, che hanno fatto spesso la differenza nelle partite alla portata ma che alla lunga si sono eclissate nei momenti chiave del campionato. Se il primo bagno di umiltà del derby d’andata, perso con un umiliante 1-5, doveva essere letto come un pericoloso campanello d’allarme, la tremenda sequenza di infortuni del bimestre ottobre-dicembre ha spento prontamente ogni velleità rossonera. La lotta per lo Scudetto con l’Inter è finita lì, tra le sconfitte con Juventus e Atalanta inframmezzate dagli incomprensibili passaggi a vuoto con Lecce, Udinese, Napoli e Salernitana. Ammesso che fosse mai iniziata.
E poi i tanti equivoci tattici generati da una rosa costruita con molti giocatori votati all'attacco e non abbastanza alla fase difensiva e al sacrificio e gestita in maniera cervellotica da un allenatore, Stefano Pioli, confermato nello scetticismo generale dopo una stagione estremamente deludente come quella passata e messo al centro di tutto. Volto da copertina del nuovo progetto tecnico senza più Maldini, coach con competenze a tutto campo, finito per diventare nei momenti più bui - fino all’ultimo capitolo di questa storia - come l’unico capro espiatorio agli occhi dei tifosi. Coprendo le evidenti mancanze, in termini di continuità e soprattutto di leadership, dei presunti top player della squadra - Maignan, Theo Hernandez, Loftus-Cheek, Pulisic, Leao e Giroud, ma potremmo andare avanti - spariti sul più bello, al momento di fare la differenza.
JUVENTUS
Tutto in quell'intervento. Maldestro, sconclusionato, pericoloso e perciò punito. Ancora oggi, se chiedete agli juventini qual è stato l'attimo in cui è crollato tutto, la risposta indica la testa bassa di Arek Milik, il pareggio con l'Empoli, quel rosso che cambia ogni cosa. Che soprattutto rende la Juventus vulnerabile, spaccando l'annata in un prima e in un dopo.
Nasce tutta lì la delusione, è nel contraccolpo raccontato successivamente pure dai giocatori bianconeri. Che dopo l'Inter e il ko di San Siro mettono in fila singhiozzi e mancanze, preoccupazioni fino a quel momento tenute serenamente a bada e allora rientrate, infine esplose. In casa Juve non solo c'era l'euforia scudetto, c'è stata soprattutto la presunzione di poter coltivare quel sogno, nonostante la consapevole distanza di tasso tecnico con la squadra nerazzurra.
Era impossibile tenere quel passo, ma la Juventus, dopo un ottimo inizio, ha fatto di tutto per non riuscirci. Non è bastato scoprire la stella Yildiz (già meno lucente), non è servito non avere l'impegno nelle coppe. E' bastato però lavorare sulla testa per provare a colmare quel gap che ancora oggi appare irraggiungibile. Ed è qui che la squadra bianconera dovrà ripartire. Ecco: è una stagione che a Torino lascia ferite profonde, non superficiali. E forse fa bene Allegri a non ragionare di rimpianti: guardandosi indietro, ne troverebbe milioni.
NAPOLI
Per un'Inter che vince, c'è un Napoli che vede scucirsi il tricolore dal petto. Appena un anno fa ai piedi del Vesuvio si viveva una gioia attesa per ben 33 anni. In questa stagione lo scettro di campioni d'Italia è stato lasciato all'Inter, sia per meriti dei nerazzurri che per una gestione disastrosa della società partenopea che ha intrapreso una strada che porta addirittura fuori dalla zona Champions. Pesanti gli addii di Spalletti, del ds Giuntoli e di Kim. Sono le tre figure che hanno fatto sentire maggiormente la loro assenza e non sono state sostituite a dovere.
De Laurentiis ha riconosciuto i suoi errori, si è assunto le responsabilità di quanto accaduto e ha cercato di rimediare a più riprese, sia con il doppio cambio di allenatore che con gli interventi nel mercato di riparazione. Troppo tardi, la barca azzurra è naufragata in fretta e di quel Napoli meraviglioso resta solo il ricordo. È mancata soprattutto la programmazione, dato che l'addio di Kim era cosa nota già da tempo, praticamente a stagione in corso. Bisognava prevenire e invece l'idea di andare sull'inesperto e non all'altezza Natan è stato un flop enorme, così come scegliere Garcia con un palmarès non irresistibile e Mazzarri che era lontano dal campo da un po'.
Il Napoli ha fatto tanti passi indietro e ha abbandonato troppo presto la sua lotta con l'Inter. Il futuro non vede un cielo sereno, per mettere i bastoni tra le ruote dei nuovi campioni d'Italia servirà ben altro. E si partirà dalla rifondazione, prevista la prossima estate.
MILAN
Mai prima d’ora nella storia della Serie A uno Scudetto era stato assegnato al termine di un derby: al Milan di Pioli è toccato pure l’infausto primato e compito di consegnare ai cugini il titolo che vale la seconda stella proprio nella partita che metteva a confronto le due forze della città. Giocando pure in casa. La migliore (o peggiore) delle sintesi per una stagione piena di contraddizioni, partita con l’entusiasmo e la autoconvinzione che la rivoluzione estiva che aveva spazzato via due figure centrali del tricolore 2022 come Maldini e Massara e portato nuovi acquisti per 120 milioni di euro fosse la chiave per giocarsela alla pari e conclusa con la amara constatazione che il gap con l’Inter non solo non sia stato colmato, ma sia anche aumentato.
Il campo, giudice supremo, non mente mai: il Milan non ha mai saputo essere squadra, troppo aggrappato alle lune delle sue individualità, che hanno fatto spesso la differenza nelle partite alla portata ma che alla lunga si sono eclissate nei momenti chiave del campionato. Se il primo bagno di umiltà del derby d’andata, perso con un umiliante 1-5, doveva essere letto come un pericoloso campanello d’allarme, la tremenda sequenza di infortuni del bimestre ottobre-dicembre ha spento prontamente ogni velleità rossonera. La lotta per lo Scudetto con l’Inter è finita lì, tra le sconfitte con Juventus e Atalanta inframmezzate dagli incomprensibili passaggi a vuoto con Lecce, Udinese, Napoli e Salernitana. Ammesso che fosse mai iniziata.
E poi i tanti equivoci tattici generati da una rosa costruita con molti giocatori votati all'attacco e non abbastanza alla fase difensiva e al sacrificio e gestita in maniera cervellotica da un allenatore, Stefano Pioli, confermato nello scetticismo generale dopo una stagione estremamente deludente come quella passata e messo al centro di tutto. Volto da copertina del nuovo progetto tecnico senza più Maldini, coach con competenze a tutto campo, finito per diventare nei momenti più bui - fino all’ultimo capitolo di questa storia - come l’unico capro espiatorio agli occhi dei tifosi. Coprendo le evidenti mancanze, in termini di continuità e soprattutto di leadership, dei presunti top player della squadra - Maignan, Theo Hernandez, Loftus-Cheek, Pulisic, Leao e Giroud, ma potremmo andare avanti - spariti sul più bello, al momento di fare la differenza.
JUVENTUS
Tutto in quell'intervento. Maldestro, sconclusionato, pericoloso e perciò punito. Ancora oggi, se chiedete agli juventini qual è stato l'attimo in cui è crollato tutto, la risposta indica la testa bassa di Arek Milik, il pareggio con l'Empoli, quel rosso che cambia ogni cosa. Che soprattutto rende la Juventus vulnerabile, spaccando l'annata in un prima e in un dopo.
Nasce tutta lì la delusione, è nel contraccolpo raccontato successivamente pure dai giocatori bianconeri. Che dopo l'Inter e il ko di San Siro mettono in fila singhiozzi e mancanze, preoccupazioni fino a quel momento tenute serenamente a bada e allora rientrate, infine esplose. In casa Juve non solo c'era l'euforia scudetto, c'è stata soprattutto la presunzione di poter coltivare quel sogno, nonostante la consapevole distanza di tasso tecnico con la squadra nerazzurra.
Era impossibile tenere quel passo, ma la Juventus, dopo un ottimo inizio, ha fatto di tutto per non riuscirci. Non è bastato scoprire la stella Yildiz (già meno lucente), non è servito non avere l'impegno nelle coppe. E' bastato però lavorare sulla testa per provare a colmare quel gap che ancora oggi appare irraggiungibile. Ed è qui che la squadra bianconera dovrà ripartire. Ecco: è una stagione che a Torino lascia ferite profonde, non superficiali. E forse fa bene Allegri a non ragionare di rimpianti: guardandosi indietro, ne troverebbe milioni.
NAPOLI
Per un'Inter che vince, c'è un Napoli che vede scucirsi il tricolore dal petto. Appena un anno fa ai piedi del Vesuvio si viveva una gioia attesa per ben 33 anni. In questa stagione lo scettro di campioni d'Italia è stato lasciato all'Inter, sia per meriti dei nerazzurri che per una gestione disastrosa della società partenopea che ha intrapreso una strada che porta addirittura fuori dalla zona Champions. Pesanti gli addii di Spalletti, del ds Giuntoli e di Kim. Sono le tre figure che hanno fatto sentire maggiormente la loro assenza e non sono state sostituite a dovere.
De Laurentiis ha riconosciuto i suoi errori, si è assunto le responsabilità di quanto accaduto e ha cercato di rimediare a più riprese, sia con il doppio cambio di allenatore che con gli interventi nel mercato di riparazione. Troppo tardi, la barca azzurra è naufragata in fretta e di quel Napoli meraviglioso resta solo il ricordo. È mancata soprattutto la programmazione, dato che l'addio di Kim era cosa nota già da tempo, praticamente a stagione in corso. Bisognava prevenire e invece l'idea di andare sull'inesperto e non all'altezza Natan è stato un flop enorme, così come scegliere Garcia con un palmarès non irresistibile e Mazzarri che era lontano dal campo da un po'.
Il Napoli ha fatto tanti passi indietro e ha abbandonato troppo presto la sua lotta con l'Inter. Il futuro non vede un cielo sereno, per mettere i bastoni tra le ruote dei nuovi campioni d'Italia servirà ben altro. E si partirà dalla rifondazione, prevista la prossima estate.