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Inter, Lautaro Martinez: "Non avevo niente, vivevo tutto come una battaglia. Gli psicologi mi sono serviti"
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MANIACO DELL’ORDINE – “Credo sia una questione di salute mentale. Quando ero piccolo, tornavo a casa da scuola con mio fratello più grande e trovavo il pranzo già preparato da mia madre, che era fuori tutto il giorno a lavorare. La casa era un casino e prima di andare all’allenamento mi fermavo per sistemarla: rifacevo i letti, sistemavo la biancheria da lavare e facevo fare i piatti a mio fratello, perché mi dava molto fastidio vederli sporchi. Da piccolo non avevo niente. A volte non sapevo dove avrei dormito la sera. Sono cose che mi hanno marcato come uomo e tutto quello che ho passato cerco di trasmetterlo in campo. Fuori dal calcio, cerco sempre di dare una mano e sono felice di andare a trovare i bambini che non stanno bene: capisco quello che vivono, le loro difficoltà".
PROBLEMI DEL FRATELLO – “Me li hanno nascosti, questo fa capire quanto i miei genitori hanno protetto il mio sogno di diventare calciatore professionista. Mi hanno avvertito quando era già uscito dall’ospedale. E dopo due anni di cure tutto si è risolto. Lui ha dieci mesi più di me, siamo legatissimi e quando io sono andato via da casa ha sofferto tantissimo".
IL LAVORO CON GLI PSICOLOGI – “All’esordio in prima squadra ho preso due gialli in due minuti per due scivolate: vivevo tutto come una battaglia, perché volevo sempre dimostrare qualcosa. Gli psicologi mi sono serviti tantissimo: a essere più tranquillo, a pensare due-tre secondi in più alle cose e anche nel dialogo con l’allenatore. Dettagli che fanno la differenza”.
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