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Inter, sì a Gabigol ma non cedere Icardi
In effetti il mercato dell’Inter è stato oculato e funzionale ad un progetto a medio termine. In un contesto già di buona qualità, con una dorsale affidabile (Handanovic; Miranda-Murillo; Medel-Kondogbia; Icardi), sono stati inseriti Banega a ridosso delle punte, Ansaldi ed Erkin sugli esterni di difesa. Adesso è arrivato Candreva e la fascia destra sarà coperta in tutta la sua lunghezza, ovvero anche in fase difensiva, da un calciatore nel pieno della maturità, dotato di gamba e di passo, bravissimo negli assist e nei cross, apprezzabile anche nelle conclusioni a rete. Non voglio dire che Candreva sia un fenomeno, ma certamente ribadire che si tratta di uno dei migliori italiani, come hanno dimostrato anche le sue recenti prestazioni in nazionale.
Con Candreva, Mancini trova insomma una fonte di gioco di grande qualità anche per la sagacia tattica dell’interessato. In queste ore si fa un gran parlare di Gabriel Barbosa, detto pretenziosamente Gabigol. Non lo conosco abbastanza per poter dare un giudizio, ma se fossi Mancini mai mi priverei di un attaccante come Icardi. Se, dunque, Gabigol, 19 anni, esordiente nel Santos a sedici, arrivasse per crescere ed integrarsi nell’Inter, l’operazione, ancorché costosa ((25 milioni), avrebbe un senso. Al contrario, se il brasiliano costituisse l’alternativa ad un Icardi ceduto, personalmente trarrei considerazioni altamente negative.
Si dice: ma per 60 milioni di euro non si deve trattenere nessuno. E’ un pensiero che condivido. Tuttavia, nel caso di Icardi, il sostituto sarebbe il solo e discontinuo Eder, a meno di scommettere su Gabigol che si ritroverebbe il peso di un ambiente esigente, la responsabilità di avvicendare un marcatore di razza, i problemi di assimilare un gioco che non conosce.
Per questo Gabi va preso e fatto crescere, mentre Icardi, mondato dalle richieste esose della moglie-manager, deve essere restituito al suo ruolo di attaccante centrale. Se proprio l’Inter vorrà venderlo (o il giocatore andarsene), lo può fare anche l’anno prossimo, magari ad una cifra più alta rispetto a quelle che si ipotizzano.
Molte delle possibilità di arrivare in Champions e di avvicinare la Juve, passano dal lavoro di Roberto Mancini. Sono convinto che già con l’Inter dell’anno scorso si sarebbe potuto far meglio del quarto posto a tredici punti di distacco dalla terza. Così come sono convinto che se Mancini si concentrasse di più sui propri doveri di allenatore, anziché prodigarsi in personali iniziative di mercato (spesso rinnegate a stagione in corso), otterrebbe più risultati e avrebbe un numero maggiore di estimatori. Il tecnico è tormentato almeno quanto l’uomo e questo segna un punto a favore dei dubbi e della ricerca. Diventa un minus, invece, quando si tratta di rendere pragmatici insegnamenti e decisioni.
Io non credo che Mancini si diverta ad alternare le formazioni ogni settimana, ma questo è avvenuto troppo spesso in passato per non avere il coraggio di considerarlo un errore. Forse, con la partecipazione all’Europa League, il turnover diventerà più logico, prima che necessario. Sta di fatto che una formazione-base non è solo un segno di riconoscibilità, ma anche di identità. Cambiare si può e si deve. Però è sulle idee forti che si costruisce la credibilità di un allenatore.