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Imbavagliano la stampa, ma interessa più a Mourinho che a noi: i giornalisti esistono ancora?
Se in qualsiasi redazione un giornalista, in seguito a un particolare evento, dice: “Scriviamo che non ci hanno fatto svolgere il nostro lavoro, denunciamo questa situazione”, viene zittito immediatamente: “Alla gente non interessa, anzi ci gode perché restiamo sulle scatole a tutti”. Prendiamo schiaffi e andiamo avanti in silenzio, insomma. Ma perché abbiamo questo atteggiamento? Forse perché non abbiamo consapevolezza di quanto sia rilevante il nostro ruolo: dimentichiamo un fatto elementare, e cioè che siamo il mezzo attraverso il quale il pubblico, le persone vengono informate di ciò che succede. Siamo i media, quelli che mediano, che stanno in mezzo: lo dice la parola stessa. Siamo importanti, insomma, il quarto potere, anche se spesso abbiamo paura di ammetterlo, oppure ci fa comodo negarlo. E preferiamo tacere anziché parlare di noi.
Prendete lo sfogo di Mourinho dopo il derby: intendeva parlare con i giornalisti, “voglio guardarli in faccia”, ma glielo hanno impedito e José si è infuriato. L’allenatore della Roma, dal punto di vista comunicativo, è un fenomeno assoluto, potrebbe dare lezioni a tutti noi, anche con le sue esagerazioni, i suoi eccessi. Ci ha costruito una carriera meravigliosa, sulla comunicazione, esterna ma pure interna, vale a dire nella gestione dello spogliatoio, della società. E’ un motivatore e uno psicologo più che un tattico, con intuizioni geniali nel modo di comportarsi: capisce immediatamente qual è l’atteggiamento giusto da tenere, in panchina o dopo la partita, sempre, per fare l’interesse proprio e del proprio club.
Domenica sera Mourinho non intendeva parlare direttamente con la stampa per condizionarla ma perché voleva che il suo messaggio forte - nel caso specifico contro gli arbitri - andasse a segno con efficacia. Ci ha fornito un assist, ha dato ai giornalisti l’occasione che loro non creano mai: parlare del loro lavoro. Ma nessuno, o quasi, lo ha fatto, nemmeno stavolta. Eppure di domande alle quali rispondere ce ne sarebbero tante, almeno queste dieci.
Perché impediscono a un allenatore che vuole parlare con la stampa di farlo?
Da chi nascono queste imposizioni?
Come mai le associazioni di categoria non si sono poste - loro e non Mourinho - il problema della gestione delle conferenze? Perché le società continuano a fare quello che vogliono, curando i rapporti con la stampa in modo a nostro avviso ottuso, sicuramente antidemocratico?
Sono liberi i giornalisti ai quali, prima di ogni intervista, vengono dettate le regole di comportamento, il tesserato non risponde a domande su questo o quel tema?
E’ libera la stampa alla quale non viene consentito di parlare con il personaggio che ritiene possa avere le argomentazioni più interessanti, ma è costretta a dialogare con chi impone la società?
Sono informati in modo corretto gli appassionati di calcio che ricevono messaggi così distorti, artefatti, pilotati? Cosa fanno i giornalisti per tutelare non tanto il loro lavoro (non è questo il problema), ma la loro possibilità di informare in modo corretto gli utenti, i lettori, il pubblico?
I giornalisti non avrebbero il dovere di battersi per poter garantire un’informazione libera, anche occupandosi di una realtà non fondamentale (ma multimilionaria) come il calcio?
Davvero possiamo definirci ancora giornalisti?
Parliamone.