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Il mondiale degli autogol: di testa, di stinco, di tacco. È a un passo dal record
Sia lode all’autogol, siamo qui a celebrare il gol al contrario. E quindi l’errore clamoroso del difensore, la beffa, la vergogna, lo stinco canaglia che sbuca da chissà dove, la deviazione insulsa, il colpo di testa in ritardo. A Russia 2018 gli autogol piovono dal cielo, gratis. Sono già cinque. E sono tanti. Spesso decisivi, chiedere a Francia, Iran, Croazia, Senegal e Russia, che ne hanno beneficiato.
I bomber al contrario di questo Mondiale si chiamano A.Behich (Australia), O.Etebo (Nigeria), A.Bouhaddouz (Marocco), T.Cionek (Polonia) e A.Fathy (Egitto). A nostro parere il migliore - si fa per dire - è quello di A. Bouhaddouz, il difensore marocchino che all’ultimo respiro della sfida con l’Iran, in un tuffo a volo d’angelo ha colpito il pallone di testa e l’ha spedito nella propria porta. Se avesse provato a fare la stessa cosa nell’area avversaria, non gli sarebbe riuscita così bene. Perché l’autogol - quando è bello - sconfigge le leggi della fisica e del buonsenso, si fa beffe del comune senso del pudore. C’è una teoria secondo la quale l’autogol viene provocato quando l’area è intasata a dismisura, quando una squadra attacca a «tambur battente», come si sarebbe detto nelle telecronache di una volta, quando insomma si sta in quindici in pochi metri e il pallone rimbalza tra ginocchia e piedi inopportuni, scoprendo traiettorie da flipper. Vale spesso, ma non sempre. Talvolta l’autogol nasce invece dal genio creativo del difensore, che magari - proprio perché se la sta facendo sotto - sceglie la soluzione più bizzarra, quella vietata dal manuale del buon giocatore. Tanto che a noi, seduti sul divano, la domanda sorge spontanea: ma che gli è passato per la testa, a quello lì? La risposta non c’è. Un autogol non si può spiegare, ma solo (ehm ehm) ammirare.
Nelle foto, quando il pallone è entrato in rete tra lo stupore del portiere, loro sono quelli sdraiati pancia a terra o inginocchiati con le mani sul volto o congelati nell’attimo eterno della vergogna, come bambole in attesa di spilli. Al difensore capita così: nel mezzo del cammin della sua partita si ritrovò per una selva oscura, che la diritta via era smarrita. E’ a quel punto che appare la frittata.
In Italia il più famoso autogollista è stato lo stopper del Cagliari Communardo Niccolai, detto «Agonia» per la sua magrezza. In serie A ne fece sei, battuto solo da Franco Baresi e Riccardo Ferri, entrambi saliti a quota 8 nella loro carriera. Da ormai qualche tempo in serie A gli autogol non vengono più assegnati a chi ne ha diritto, ma a chi ha sferrato il tiro (anche per questo a certi bomber del passato andrebbero aggiunti un paio di gol a stagione). Siamo contrari, ma serve a poco. Fosse per noi, le deviazioni sarebbero sempre valide. Invece in serie A una rete è classificata come autogol in due casi. Quando un giocatore involontariamente calcia la palla direttamente nella propria porta (Retropassaggio sbagliato o rinvio errato) e quando un giocatore devia nella propria porta un tiro, un cross o un passaggio di un avversario non indirizzato nello specchio della porta.
In ogni caso, questo è il Mondiale dell’autogol, l’abbiamo detto. Per battere il record dell’edizione di Francia 1998, quando si arrivò a quota sei, basta davvero poco: uno stinco, una caviglia appoggiata male, una spizzata con la zucca, un tocco perfido con lo sterno, una deviazione con la pancia, un rimbalzo carogna o una decisione presa all’ultimo momento, di quelle che un attimo prima pensi: o la va o la spacca. Di solito, la spacca.