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    Il Milan straniero e l’Inter-Nazionale: perché Furlani e Marotta guardano a due mercati diversi e chi ha ragione

    Il Milan straniero e l’Inter-Nazionale: perché Furlani e Marotta guardano a due mercati diversi e chi ha ragione

    • Simone Gervasio
    Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo”. Seguendo questo motto come stella polare, nel 1908 alcuni soci del Milan si staccarono dal club rossonero e ne crearono uno nuovo, l’Inter. Oltre 100 anni dopo però le tendenze si stanno invertendo. Dopo anni di esterofilia e di grandi campioni stranieri, l’Inter ha preso lo scettro dalla Juve come squadra più ‘italiana’, ereditandone anche il blocco che compone la Nazionale mentre il Milan non è mai stato così poco patriottico. E questa sessione di calciomercato sta sempre più segnando un solco tra le strategie dei due club.

    MILAN STRANIERO - Certo, anche il padre fondatore del Milan era un inglese, Mr Herbert Kilpin, ma negli anni e nell’epopea berlusconiana i rossoneri sono stati all’avanguardia anche sotto questo punto di vista. Sono lontani i tempi di Maldini, Nesta, Pirlo, Ambrosini, Gattuso e Inzaghi, di quello zoccolo duro italiano che ‘stava bene insieme’ ed era il segreto di Pulcinella di un club capace di vincere tutto. A Milanello la musica è cambiata, prima gradualmente e poi di botto. Già nella passata stagione, il Milan ha schierato contro la Salernitana il suo primo undici titolare senza giocatori italiani. Un unicum per il club, una sorta di abitudine per i cugini. Fu proprio l’Inter la prima squadra italiana a farne a meno, in un Roma-Inter 0-4 del 19 ottobre 2008. Di lì in avanti è ricapitato ben otto volte. L’insediamento della nuova proprietà targata Red Bird ha catalizzato il processo: l’ormai famoso algoritmo alla Moneyball non fa tante differenze sulla nazionalità dei giocatori ma li giudica solo sulle loro caratteristiche e sulla loro intercambiabilità. Il risultato? L’addio a Maldini, esonerato dopo l’altalenante passata stagione, e l’ascesa di Furlani e Moncada. I due hanno dato il là a un mercato senza precedenti con una cessione inaspettata: quella del futuro capitano e bandiera del club, Sandro Tonali. Partito lui, in rosa resta tra i titolari o supposti tali solo l’attuale portatore della fascia, Davide Calabria. Mirante, Caldara, Florenzi, Pobega e Colombo recitano ruoli da comprimari mentre negli 8 nuovi acquisti di italiano c’è solo Sportiello. Forse non per paradosso, il fondo Usa ha comprato più giocatori statunitensi che nostrani.

    ITALINTER - Chiaro che non si tratti di una casualità. Comprare giocatori stranieri è una scelta fatta per vari motivi. Il prezzo, anzitutto. Spesso i giocatori della nostra Serie A vengono iper valutati in quello che resta un mercato ristretto mentre nel mare magnum mondiale si può pescare a piene mani e fare affari di livello. In più il Decreto Crescita, con la relativa tassazione agevolata, permette alle nostre squadre di ingaggiare giocatori che arrivano da campionati stranieri con benefici fiscali. In sostanza i nostri club possono offrire loro ingaggi netti più alti rispetto al passato a parità di ingaggio lordo. Ma per la ‘neonata’ dirigenza rossonera è anche una questione di rapporti con club, agenti ed intermediari, gli stessi rapporti, coltivati e consolidati da decenni di lavoro sul campo, che hanno fatto dell’ad dell’Inter Beppe Marotta uno dei re del nostro mercato. Bayern Monaco, Chelsea ma anche, se non soprattutto, Sassuolo, Udinese, Empoli e tante altre squadre della Serie A godono di buone relazioni con l’ex Juve che spesso pesca dalle loro squadre per rinforzare le sue. Marotta è ormai un decano del nostro calcio e il suo modus operandi è ben definito: comprare 'made in Italy'. Artefice dei successi da record della Juve, ne aveva foraggiato la spina dorsale italiana: Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Pirlo e Marchisio sono stati pilastri bianconeri e azzurri. Non si sono raggiunte le vette dell’Italia ad Argentina 1978 (8 titolari) ma il blocco juventino ha dettato legge a lungo. Perché infoltire la propria rosa di italiani? L’ad ha sempre spiegato questa scelta con l’intento di conferire ai suoi una cultura e mentalità vincente, di creare unione di intenti nello spogliatoio e mettere su gruppi granitici.

    CAMBIAMENTO – A testimonianza dei cambiamenti nerazzurri, un dato. L’Inter ha giocato due finali di Champions League negli ultimi 20 anni: nel 2010 e nel 2023. A Madrid, Mou non aveva schierato alcun italiano, a Istanbul Inzaghi ne ha fatti scendere in campo ben 5. E l’estate ha portato in dote un altro alfiere del ct Mancini, quel Davide Frattesi strappato proprio al Milan. La politica interista è cristallina. Negli ultimi anni sono arrivati anche Sensi, Candreva, D’Ambrosio, Politano, Gagliardini, per non citare i prodotti del settore giovanile come Casadei e Fabbian. E non è finita. Perché se il mercato non ha portato Scamacca, potrà ancora regalare Toloi a Inzaghi. Sul Naviglio le cose si fanno in due modi opposti. C’è chi guarda in casa e chi fuori ma l’orizzonte è lo stesso: la seconda stella.

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