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    Il Milan perde l'imbattibilità, ma non il suo leader: la Ibra Supremacy è eterna

    Il Milan perde l'imbattibilità, ma non il suo leader: la Ibra Supremacy è eterna

    • Andrea Barbuti
    Ieri sera, allo stadio Artemio Franchi di Firenze, il Milan ha perso la sua prima partita in campionato, per 4 a 3, ma anche la possibilità di allungare in classifica su almeno una fra Napoli e Inter. Invece, ancora una volta, dopo lo Spezia-Milan dello scorso febbraio, ci si è messo in mezzo mister Italiano, che nel frattempo ha cambiato squadra insieme a Saponara, l’ex, indigesto (e ormai non è più una novità) della partita. In una serata così, che ha visto i rossoneri perdere una partita importantissima, per due errori individuali abbastanza grossolani, e prendere un gol da un loro ex giocatore e una doppietta da un meraviglioso attaccante che probabilmente non potranno permettersi di acquistare quest’estate e dovranno vedere o all’estero o con la maglia di una delle tua più acerrime rivali, è difficile trovare delle note positive. Eppure, non si può non gioire davanti all’ennesima prestazione clamorosa di Zlatan Ibrahimovic.

    DUE STELLE SUL PALCO DI FIRENZE - Ieri sera, il Milan ha capito sulla propria pelle che Vlahovic (che si autoproclama da sempre l’erede di Ibra) è destinato a fare da dominatore del calcio italiano e non solo per i prossimi anni. Eppure, il pezzo pregiatissimo delle prossime sessioni di mercato, colui che ormai è considerato l’attaccante del futuro, ieri sera ha dovuto condividere la luce con un altro attaccante, quello del presente, del passato, ma forse sarebbe meglio definirlo eterno: Zlatan Ibrahimovic, che poi è anche il suo idolo e una sorta di suo predecessore (ammesso che possa esistere qualcuno che si avvicini a Ibra così tanto da poter essere definito suo erede).

    ESEMPIO - Ieri sera, il numero 11 rossonero ha fatto la sua ennesima partita da leader totale. Sul primo gol subito ha letteralmente alzato da terra Matteo Gabbia, colpevole di non essere stato abbastanza reattivo, e quindi mentalmente sul pezzo, con una strigliata che hanno sentito anche fuori dallo stadio. Poi, dopo il terzo gol della Fiorentina ha deciso (ed è stato aiutato da un clamoroso errore di impostazione di Bonaventura) che ne aveva abbastanza. Ha segnato un gol dei suoi, da fermo, a giro sul secondo palo, superando difensore e portiere, preso in mano la squadra, fatto a sportellate (aiutato molto da Giroud) coi difensori in maglia viola e segnato il 2-3 che ha riaperto la partita. La Fiorentina poi l’ha richiusa, proprio con Vlahovic, ma appena prima del fischio finale, Ibra ha propiziato l’autogol del definitivo 4-3, dimostrando voglia di incidere anche quando la partita non ha più niente da dire.

    FENOMENO PARANORMALE - La chiamano Ibra Supremacy ed è un fenomeno che dura (quasi) ininterrottamente dal 19 settembre 1999. Praticamente, chi è nato nel ventunesimo secolo (la cosiddetta generazione z) ci è dentro da quando è nato. In Italia, la viviamo dal 2004, anno in cui si è trasferito alla Juve: “il resto è storia del calcio”, recita il finale del suo film, uscito al cinema proprio dieci giorni  fa. Che un calciatore possa letteralmente dominare un campionato per una decina di anni è una cosa abbastanza consueta. Quello che sta però diventando abbastanza inspiegabile è come si possa farlo a quarant’anni, dopo un infortunio come quello che ha dovuto subire quando era al Manchester United che, a quell’età, avrebbe significato la fine della carriera ad alti livelli per praticamente chiunque. Invece lui, che chiunque non è, si è preso il suo tempo, si è fatto un’esperienza negli Stati Uniti per ritrovare confidenza con il campo e con il suo fisico e poi è tornato in Italia, al Milan, la squadra, delle tre in cui ha militato, che lo ha sempre fatto sentire a casa sua. La chiamano Ibra Supremacy e, se un decennio fa faceva parte della nostra normalità, oggi sta diventando, ogni giorno che passa, qualcosa di sempre più eccezionale. Forse dovremmo rinunciare a spiegarcelo e limitarci ad ammirare, a gioire e a godercelo fino all’ultima prodezza.
     

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