Calciomercato.com

  • AFP/Getty Images
    Il fascino unico di essere milanisti

    Il fascino unico di essere milanisti

    • Antonio Martines
    La storia dei tifosi milanisti per certi versi è assolutamente unica, se si dovesse fare un paragone letterario la si potrebbe accostare ad un classico intramontabile come il Conte di Montecristo, una storia fatta di attese e ritorni, cadute e trionfi, ma mai banale. Nessuna tifoseria in Italia – e nel mondo – ha mai avuto una simile parabola storica, caratterizzata da lunghi anni di sofferenza e poi da improvvisi cambiamenti di destino, con cicli di vittorie epocali, per poi magari ricadere nell'anonimato e quindi risollevarsi ancora una volta dalla polvere per toccare vette che mai si sarebbero potute ritenere raggiungibili. 

    Il milanista ha un profilo psicologico molto complesso e variegato. Ci sono milanisti che non hanno visto uno scudetto per svariati decenni e altri che invece hanno fatto indigestione di coppe europee. Ci sono milanisti che hanno visto Luther Blisset sbagliare dei gol a porta vuota e altri che hanno ammirato il poker di Van Basten contro il Goteborg. Poi ci sono anche milanisti che si rivolsero in lacrime, ad un Rivera col microfono in mano, per fare si che la partita dello scudetto della stella non fosse rimandata, e infine altri ancora che invece fischiarono indegnamente l'addio di un monumento del calcio come Paolo Maldini. Se Osho avesse mai tifato per una squadra di calcio, probabilmente sarebbe stato milanista, perché solo chi tifa Milan può vivere delle meravigliose contraddizioni come quella di passare in pochi anni dalla Serie B alla conquista del tetto del mondo. 

    Quale altra tifoseria può vantarsi di 7 Champions League e allo stesso tempo di 2 retrocessioni in serie B? Proprio in questo risiede il grande fascino del milanismo. Il tifo milanista ha visto e vissuto praticamente tutto: fuoriclasse inarrivabili e schiappe inenarrabili, retrocessioni clamorose e finali leggendarie, nessun'altra tifoseria può esibire una simile completezza. I milanisti che vissero nella prima meta del Novecento fecero di necessità virtù, visto che uno dei periodi più duri e difficili fu sicuramente quello della grande carestia, ovvero quei lunghissimi 44 anni che vanno dal 1907 al 1951, anni in cui la società rossonera non vinse praticamente nulla a parte la Coppa Federale 1915/16, una sorta di succedaneo dello scudetto, che venne istituito per l'entrata in guerra da parte dell'Italia nella prima guerra mondiale. 

    Un trofeo che nei primi anni '70 venne sbandierato a più riprese come vero e proprio titolo di campione d'Italia da parte di molti tifosi e giornalisti che in quegli anni mal digerirono i tre secondi posti consecutivi nei confronti delle eterne rivali Inter e Juve, e che nelle loro intenzioni avrebbe finalmente potuto regalare – a tavolino – quella tanto agognata stella d'oro che poi sarebbe arrivata solo alla fine del decennio grazie ad un crepuscolare Gianni Rivera. Ma dopo ogni grande traversata del deserto arriva anche – sempre – immancabilmente una grande redenzione e cosi fu anche per i milanisti nati tra le due guerre che poterono godere di un ritorno alla vittoria soffertissimo ma bellissimo, rappresentato da una squadra formidabile come quella del Gre-No-Li che con lo scudetto del 1951 pose la pietra miliare per il vero inizio della gloriosa storia rossonera. Da li in poi infatti i milanisti videro altri scudetti e nel decennio successivo si scoprirono tifosi di un club che avrebbe fatto la storia anche e soprattutto in ambito internazionale. 

    Nel 1963 trovarono il proprio profeta, ovvero Gianni Rivera, un giocatore simbolo della loro storia, forse il più amato di tutti per i milanisti di vecchia data che videro in lui ciò che oggi i romanisti vedono in Totti. I milanisti di quegli anni, secondo la narrazione giornalistica del tempo erano di estrazione popolare e con vedute politiche molto vicine all'estrema sinistra, tanto che si meritarono il nomignolo di Casciavit in contrapposizione ai fighetti Bauscia che invece tifavano per la squadra sulla sponda opposta dei navigli. Ma nella realtà dei fatti questa narrazione era vera fino a un certo punto, di vero in quel periodo ci fu soprattutto la nascita dei primi grandi gruppi di ultras organizzati nel calcio italiano, e ciò avvenne proprio grazie ai milanisti. Infatti dal 1968 al 1975 ci fu la nascita dei tre grandi gruppi storici che poi crearono il mito della Curva Sud rossonera, ovvero: Fossa dei Leoni, Commandos Tigre e Brigate Rossonere. Fu grazie a questi tre grandi gruppi che il tifo milanista divenne famoso in tutta Italia per il suo pubblico numeroso e caloroso. Come dimenticare infatti i pienoni di San Siro nel primo campionato di serie B, i 60.000 dell'uno a due contro la Cavese, ma anche e soprattutto i 90.000 che affollarono il Camp Nou per la storica Coppa dei campioni vinta a Barcellona contro la Steaua. 

    Ma come dicevamo all'inizio, i milanisti hanno visto di tutto e di più e cosi dopo i fasti dell'epopea di Rocco e Rivera, affrontarono l'inizio degli anni '80 con la faccia esilarante di Diego Abatantuono in “Eccezziunale... veramente” e non poteva esserci spirito migliore visto che la prima metà di quel decennio fu macchiata da due retrocessioni che sembrarono sporcare indelebilmente la storia di una maglia cosi gloriosa come quella a strisce rossonere.

    Sembrarono... perché poi in realtà, la seconda parte del decennio restitui tutto e con gli interessi, visto che i tifosi milanisti si rifecero alla grande con l'arrivo di Berlusconi e con tutto quello che ne consegui per la storia del club e non solo. I milanisti del berlusconismo sono soprattutto i quarantenni di oggi, una generazione di tifosi abituata a caviale e champagne, metaforicamente parlando. I milanisti del berlusconismo hanno sentito parlare di Rivera dai loro genitori e dai fratelli più grandi e delle retrocessioni in serie B non hanno praticamente memoria. Per loro l'attuale momento storico rappresenta un'anomalia assoluta, visto che erano abituati a macinare record e a collezionare trofei. Passare dal tifare per il club più glorioso al mondo ad una squadra che da tre anni non si qualifica per le coppe europee rappresenta un triplo salto mortale carpiato all'indietro. Ma come ci insegna la storia, non sarebbe la prima volta e in fin dei conti l'attuale digiuno di vittorie potrebbe anche risultare utile per far tornare l'appetito ad una tifoseria che negli ultimi anni era diventata addirittura snob, tanto da disertare gli spalti di San Siro. Il milanista ha attraversato crisi ben più gravi e saprà far fronte anche a questo momento di transizione e pazienza se altri vincono scudetti all'infinito, in fin dei conti per il milanista i veri trionfi sono solo quelli in Champions league. Un milanista non si annoierà mai davanti alla vittoria e allo stesso tempo non cercherà alibi di fronte alla sconfitta, sa che il più forte è padrone del proprio destino ma allo stesso tempo è consapevole del fatto che non sempre il più forte vince. Il milanista è invidiato, ma mai odiato. Il milanista ha visto tutto ma questo non può significare abituarsi a tutto, e il futuro sarà anche un'incognita, ma il milanista può stare tranquillo, perché tifare per il Diavolo poi vuol dire immancabilmente tornare a riveder le stelle...



    @Dragomironero

    Altre Notizie