Il calcio non prova più vergogna nel pronunciare la parola 'AIDS'
Aveva trentotto anni quando se ne andò da questo mondo con il fisico ridotto ad un lumicino. Lui, Giuliano Giuliani, che era stato un bel ragazzo e con quei riccioli neri a fare da contorno per un viso contrappuntato da occhi buoni e sinceri. Professione portiere, debuttante con la maglia dell'Arezzo, per una scalata professionale che l'avrebbe portato a vincere uno scudetto nel Napoli di Maradona. E proprio nella città partenopea quello che, per il calcio italiano, avrebbe potuto e dovuto rappresentare il "dopo Zenga" contrasse la malattia che lo avrebbe portato ad una fine dolorosa e tragica in un ospedale di Bologna. Una brutta storia fatta di silenzi omertosi e di immotivata vergogna. Soltanto dopo molto tempo gli stessi Ferrara e Renica confessarono di aver incontrato il loro ex compagno per strada quando ormai era visibilmente segnato dall'AIDS e di averlo volutamente evitato. Probabilmente per pena, ma anche per quella sorta di infame passaparola che vietava ad uno sportivo solo di pronunciare il nome di quel male "infamante". E dire che ci aveva pensato Magic Johnson, la stella del NBA, ha rompere il muro del slienzio rivelando al mondo nel 1990 le sue condizioni di salute minate dal virus che per lui, fortunatamente, non sarebbe stato fatale. Ma, si sa, negli Stati Uniti patria di Hollywood dove può accadere tutto e il contrario di tutto l'ipocrisia non è mai stato lo sport preferito dalla gente. Da noi bocche cucite per Giuliani sino al giorno in cui la sua bellissima moglie, Raffaella Del Rosario, tolse quel peso che gravava sulle spalle del calcio rivelando la vera verità sulla morte di suo marito.
Ora l'oscurità intellettuale che avvolgeva il calcio si è finalmente dissolta e l'esempio dei giocatori del Matera verrà sicuramente seguito da altri addetti ai lavori provvisti di senso del sociale e di vocazione alla solidarietà. Anche perché, come suggeriscono i dati, c'è assoluto bisogno di rumore e di informazione su un problema di una gravità sempre eccezionale. E i tifosi di tutte le squadre non sfuggono per niente al teorema della malattia in agguato. Anzi. Per parlare con chiarezza, al tempo del pallone globale con continui spostamenti di tifosi (tantissimi giovani ultras o meno), in Europa e nel mondo, che probabilmente non si limitano ad andare allo stadio ma i quali, magari, decidono di divertirsi anche in altri modi sarebbe cosa buona e giusta che le società ospitanti insieme con il biglietto di ingresso regalassero un preservativo. Come a scuola.
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