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Il calcio italiano è 'per vecchi'. Mancano intensità, freschezza e mentalità: dove vogliamo andare?
Niente alibi per nessuno, quindi. I risultati, ma soprattutto l’inferiorità tecnica mostrata dalle nostre quattro squadre partite dai gironi, hanno decretato l’ultimo fallimento del calcio italiano nella coppa più importante, senza dimenticare la bocciatura del Napoli in Europa League contro il non irresistibile Granada e più in generale la lunga assenza nell’albo d’oro della seconda coppa europea di una squadra italiana, perché l’ultimo nostro successo risale ormai all’altro secolo, quando il Parma vinse la coppa Uefa contro l’Olympique Marsiglia nel 1999. In Champions, invece, ci siamo fermati al 2010 quando l’Inter completò il suo storico “triplete” superando il Bayern Monaco. Ecco perché non può essere casuale l’ultimo fallimento, dovuto a tre gravi difetti in campo e fuori: di intensità, freschezza e mentalità. E’ scontato pensare subito al diverso ritmo con cui si gioca in Europa, perché come ha spiegato Capello, l’unico allenatore italiano ad avere vinto nello stesso anno scudetto e Champions nel 1994 con il Milan, in Italia il gioco è troppo spezzettato per gli eccesivi fischi degli arbitri che fermano continuamente le azioni, per le proteste e le perdite di tempo dei giocatori, con l’aggiunta dell’ultima deleteria moda di passare il pallone indietro al portiere. Non a caso la Juventus ha incassato il primo gol a Oporto per un inutile retropassaggio di Bentancur a Szczesny. La Lazio, all’andata, ha spalancato la porta al Bayern con un altro gentile omaggio di Musacchio. E infine l’Atalanta a Madrid regalato il primo gol al Real per un errato rilancio di Sportiello. E se l’Atalanta, l’unica in grado di giocare sempre ad alti ritmi in Italia e per questo è considerata la squadra più europea, viene eliminata dal Real Madrid vuol dire che non per il salto di qualità occorrono i campioni veri.
E così si arriva alla seconda spiegazione, perché proprio i ritmi più bassi del nostro campionato hanno esaltato le qualità di campioni non più giovanissimi che soltanto in Italia possono ancora essere determinanti. Non può essere una semplice coincidenza, infatti, che Ronaldo a 36 anni, Ribery a 38 tra un mese, e Ibrahimovic a 39, siano ancora considerati gli uomini più importati per Juventus, Fiorentina e Milan, dopo aver chiuso con il Real Madrid, il Bayern Monaco e il Manchester United. Haaland e Vinicius, entrambi di 20 anni e Mbappè di 22, invece, hanno più futuro che passato e anche questo spiega la freschezza e la velocità del Borussia Dortmund, del Real Madrid e del Psg. Infine, come se non bastasse tutto ciò, c’è un problema di mentalità, perché in Italia tutti gli allenatori si lamentano se devono preparare tre partite in una settimana, mentre i dirigenti si preoccupano più di partecipare alla Champions che di vincerla, privilegiando l’interesse economico invece di quello sportivo. E così, come ha scritto giustamente Mario Sconcerti, il quarto posto in campionato non è un fallimento ma un traguardo da festeggiare, perché garantisce una bella fetta di milioni. In questo modo, però, manca l’abitudine a puntare allo scudetto e così quando si esce dalla Champions si riparte con l’unico obiettivo di partecipare a quella successiva. Intanto gli altri corrono di più, si lamentano di meno e vanno avanti in Champions. Tutti, non soltanto gli inglesi, i tedeschi, gli spagnoli, i francesi, ma ora persino i portoghesi!