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    Il bilancio di Mancini ct: dal baratro all'Olimpo e ritorno, le sue idee lo hanno premiato e poi tradito

    Il bilancio di Mancini ct: dal baratro all'Olimpo e ritorno, le sue idee lo hanno premiato e poi tradito

    • Federico Targetti
    Memorabile, cioè da ricordare. In tutti i sensi. Roberto Mancini ct della Nazionale italiana di calcio sarà ricordato tra i mostri sacri della nostra storia pallonara al pari di Pozzo, Valcareggi, Bearzot e Lippi come uno dei cinque allenatori capaci di vincere un trofeo internazionale di massimo livello (Mondiali o Europei), ma sarà anche ricordato come l'uomo che è riuscito, suo malgrado, a fallire la qualificazione ai Mondiali appena otto mesi dopo l'apoteosi, risultando nel secondo flop azzurro dopo quello che lui stesso aveva riscattato. 

    Roberto Mancini (37 vittorie, 15 pareggi e 9 sconfitte, 57 giocatori che con lui hanno esordito) è stato il ct che ha raccolto 40 risultati utili consecutivi, stracciando ogni record sotto questo punto di vista grazie alla cavalcata europea e ad avversari non irresistibili, ma è stato anche il ct che si è incaponito sugli stessi uomini anche una volta che la magia di Wembley era svanita. Dal baratro in cui l'Italia era piombata con Ventura all'Olimpo scalato con pazienza e raggiunto formando un gruppo ordinato, compatto e talentuoso, fino alla nuova débacle culminata nei 90' senza gol risultati fatali a Palermo contro la Macedonia e, diciamocelo pure, nella figuraccia della Finalissima contro l'Argentina campione del Sudamerica e futura campione del Mondo. C'è stata anche sfortuna, non solo cattiva gestione delle risorse che di per sé non sono mai state illimitate: Jorginho in due partite contro la Svizzera ha sbagliato due rigori che, se realizzati, avrebbero portato l'Italia in Qatar. Due terzi posti in Nations League sono poi un risultato di tutto rispetto, se non fosse che la Nations League è percepita da giocatori e tifosi al pari di un Trofeo Birra Moretti. Con rispetto parlando per il mitico Trofeo Birra Moretti. 

    E poi il problema attaccanti, ironia della sorte per un ex attaccante come Mancini: Immobile ha sempre vissuto una sorta di vita alternativa in Nazionale, che non lo ha mai visto letale come alla Lazio; Belotti, purtroppo, è da anni l'ombra di sé stesso; Scamacca deve ancora farsi. Poi il vuoto. Mancini ha dovuto rivolgersi agli oriundi se non altro per aumentare la concorrenza e stimolare la crescita attraverso di essa: non sarà Retegui la soluzione, ma la strada intrapresa pare poter essere quella giusta se condivisa da tutto il movimento. Molto dipenderà dalle intenzioni del nuovo selezionatore in tal senso. 

    Il passo indietro di Mancini, arrivato per uno spettacolare scherzo del destino nella giornata internazionale dei mancini, non è arrivato per via del fallimento Mondiale, sarebbe stato tardivo e senza senso; ci sono motivazioni più profonde che Calciomercato.com ha provato a spiegarsi in altra sede. è però arrivato, e già questo, in presenza di una incompatibilità e di una impossibilità di arrivare al risultato (o almeno provarci) con serenità, è un punto a favore del tecnico. C'è chi ha avuto il coraggio di dimettersi dopo una grande delusione - Prandelli nel 2014, anche se lui in Brasile l'Italia ce l'aveva portata - e chi anche a fronte di una disfatta su tutta la linea non ha voluto ammetterla - Ventura in quello sciagurato ottobre del 2017. Qualunque sia il pomo della discordia che ha terminato il viaggio di Mancini alla guida della Nazionale, non si può dire che questo viaggio non verrà ricordato. Nel bene e nel male. 

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